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FILOCRATE. Io non posso altro se non, andando per il mondo a sempre sopportar caldo, freddo, fame e sete e fatiche e passar tra gl'infideli predicando la fede e sol per zelo di caritá morir, pregar per voi il Signore ed ancor per ciascun altro che è fuor di strada. PILASTRINO. E che! Non è gran cosa! Questi non fu mai savio. Oh! co! ahuè! Sta' fermo qui. FILENO. Che porchitá è la tua? Che aspetti?

Diman voglio trovar la vecchia e seco consigliarmi di questo; e che pensiamo qualche malizia nuova. Artemona, trovato Crisaulo, li narra quello che è seguito de la sua imbasciata e lo lascia mentre egli si lamenta d'Amore: in che poi forte crescendo, preso da uno accidente di cuore, si vien meno; e, per una orazione di Fileno suo servo fedele, ritorna. ARTEMONA. Io non pensava piú di trovarti.

E giá condotta è a tale che poco manca che dura vita non abbandoni e si ritorni ignuda al suo Fattor. FILENO. Caro padrone, affrena questi tuoi pianti. Tu vuoi pur far lieti i tuoi nimici e noi sempre tenere, miseri, in duolo.

CRISAULO. Ecco Fileno. Ringraziato sia Dio. Che nuove porti? che t'ha risposto? verrá qui istasera? ha fatto nulla? FILENO. Non l'ho ancor trovata; ch'era, m'han detto, andata fuori al monte a cercar di certe erbe. Ho ben lasciato che venghi, come giunge. CRISAULO. A chi parlasti? FILENO. A quei di casa, ché v'era una corte che l'aspettava.

Se non vuoi aver cura a te medesmo, abbi almanco rispetto a noi; che piú t'amiamo e piú nel cuore abbiam le tuoi passion, gli affanni e pene che piú ci affliggon che le nostre istesse. Prendi questo leuto; e, per uscire di tanto duolo, fa' che suoni e canti qualche canzone allegra. CRISAULO. Altro non posso cantar se non di quel che dentro il cuore mi muoverá. FILENO. !

FILENO. Vo' che vi venga, un tratto, e che tu veda l'opre belle che fa questa tua arpia. Il collo torto, il volto consumato, quegli occhi lagrimosi accompagnati con l'abito fratino e i paternostri che sempre biascia inganneriano il tempo che inganna ognuno. CRISAULO. Di' che cosa è questa, se lo sai dire. FILENO. Io te ne dirò parte.

FILENO. Eh! va': l'hai per costume questo voler morire. E poi per chi? Una fraschetta, che, chi la strizzasse tutta, non n'usciria tanto di buono che te n'ungessi un'unghia. Filocrate viene a parlare a Calonide; e riman seco di sposar Lúcia di corto. CALONIDE madre, FILOCRATE giovane, LÚCIA figliuola, GIRIFALCO. CALONIDE. Chi è giú? FILOCRATE. Io sono. Aprite. CALONIDE. Aspettami, figliuolo.

FILENO. I caldi prieghi sono stati, signor, che ho qui, piangendo, porti a quel Sol che col suo divin raggio sempre ti può far vivo. CRISAULO. Non fia mai in me dimenticato tanto amore. Anzi, per fin che sará questa vita meco, l'avrò con gli altri tuoi infiniti buoni uffici nel cuore.

Alta luce, che accogli l'anima ch'è contenta in cosí dolce foco arder mai sempre, con meno amare tempre scorgi l'alma che è giunta all'ultim'ora; poi che, morendo, ancor t'ama ed onora. FILENO. Ah! Tu sei pur di bello in su la grossa! Oh! Che canzone è quella, da cantare il de' morti! CRISAULO. Ahi!

Filocrate, vedendo in casa di Lúcia farsi apparecchi per le nozze che aspettavano di far con Crisaulo, si lamenta solo: il che è come uno epilogare sopra de la fortuna. Ed, al fine, discopre a Fronesia chi egli è; e come, la sera avanti, era ito da Lúcia con animo di vendicarsi di averci veduto andar Crisaulo; e, trovatola in aspettare (per essersi giá, la mattina, per consiglio di Fileno, partito Crisaulo de la cittá), aveva ottenuto il suo desiderio. Ed ègli da Fronesia discoperto come quella che egli pensò esser Lúcia fu essa: onde, veduto pur esser cosí volont