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Filocrate, ritornato di Spagna, piú che mai nel suo amore acceso, per entrare in casa di Lúcia e non esser cognosciuto, viene in abito di pelegrino dimandando limosina in lingua spagnuola; ed è a la fine da la madre accettato in una corte come pover'uomo: ove, con Demofilo socero di Calonide, entra ne le lodi de l'imperatore e di piú principi.

Io priego Iddio che faccia, in penitenza di tanto mancamento, che tu pianga, un tratto, per qualcun, come or ne ridi: ché forse allor mi terresti piú cara. Ecco tua madre. Voglio andar da lei. Come ne parlo piú... LÚCIA. Sta': non andare. Quando tornerai in qua? verrai stasera? Non odi? ARTEMONA. S'io verrò, tu mi vedrai. Calonide, buon . CALONIDE. Dio ti contenti, Artemona.

CALONIDE. È fatta, , ma vo' veder le nozze: ché non vo' star piú in questo struggimento, ché importa troppo; e lo starne sospesa non è sicuro. FILOCRATE. Io sono a le tuoi voglie; altro non bramo. Ma vorrei che anch'ella mi toccasse la mano. CALONIDE. Oh! S'è per questo, anco s'ha da far ben. Dálli la mano. Orsú! A chi dico?

PILASTRINO. Tocca forte, ché non posson sentir. CALONIDE. Va'. Guarda a l'uscio, Fronesia. E tu vatti governa, Lúcia, con i panni ordinari; ché Crisaulo oggi verrá come ancor venne ieri. Forse non piace a Dio. Qualcun de' suoi l'avrá tenuto. FRONESIA. Apri, apri; è lui; è Crisaulo con molta gente. Oh che felice giorno! Lúcia, torna di qua. CALONIDE. Di' 'l vero? È desso? Èvvi il mio Girifalco?

CRISAULO. Tu nol credi, eh, Pilastrino? Gli è pur troppo vero. Credilo a me, che sono stato il mezzo. Calonide è la sposa; e sallo Iddio, s'io ci ho durato punto di fatica! Pur si contenta; e ne vedrai gli effetti, come siam giunti. E ben ci fia che ridere: che parrá certo, appresso a lui, la sposa piú che donzella. PILASTRINO. Io vado a sotterarmi per disperato sotto a la mia botte.

FILOCRATE. Quando fia mai l'ora per me tanto felice che, legati d'eterno nodo, di tante fatiche e tanti stenti al fin mi sia concesso cogliere i dolci frutti? Aimè! ch'io temo, come mi cognosco al tutto indegno d'un tal tesor, che non mi sia negato da la mia sorte. CALONIDE. Lascia andar da canto queste tuoi leggerezze. Ora attendiamo che si dia fine.

Io giá non dico che la fante non sia una buona robba; ma basta che li parve essere ai ferri con Lúcia ch'era stata giá cagione ch'egli aveva mandato il senno in poste. Di Calonide taccio, c'ho rispetto di mentovare invano una sua pari che digiuna l'avvento. State attenti, vi prego, senza strepito; ché qui non vi si chiede danari altro che vi debba dispiacere. Un'altra volta comandate a noi.

FILOCRATE. Non mi par giá cangiata. Oh! Dio volesse che non ci avesse visto! Iddio ti guardi, madre. Quanto m'allegro di vederti cosí di buona voglia! ch'istanotte non ho dormito mai, del dispiacere ch'ebbi, perché pensai che ci vedesse Demofilo, iersera. CALONIDE. Anzi, ci vide: e me ne dimandò; ma tanto seppi bene acconciarla che poi non disse altro.

FILOCRATE ritornato pelegrino, FRONESIA, CALONIDE, DEMOFILO vecchio. FILOCRATE. Ai de mi! O personas de bien, aiudadme con limosna. O quien hallasse alguna alma tan devota la qual oviesse piedad d'este pobre peregrin, maldispuesto, que a llegado a estos dias del sepulcro!

Tu hai una buona cera. Buon pro ti faccia. ARTEMONA. Cosí dice ognuno. Ma non lo credo lor, ché le mie gambe mi dicon quel ch'io son. CALONIDE. Di', per tua : come la fai con gli anni? ARTEMONA. Oh! bene, bene: ché passan via che non li veggio a pena; e mi fan cosí buona compagnia ch'altro dolor non ho sempre nel cuore se non che non stan meco o ver, partiti, non ritornan mai piú.