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Io lancio de la fame; ché ho cercato quest'altro parasito tutto il giorno. Or mi risolvo che non è possibile che ceniamo istasera. E che 'l vecchione impari, un tratto, a fare a la civetta in terzo con duo mastri di rapina! Forza è che l'indugiamo un vantaggio per farla netta; ché a trovar Listagiro non basteria 'l piú valente pilotto che guardi carta.

CRISAULO. Ecco Fileno. Ringraziato sia Dio. Che nuove porti? che t'ha risposto? verrá qui istasera? ha fatto nulla? FILENO. Non l'ho ancor trovata; ch'era, m'han detto, andata fuori al monte a cercar di certe erbe. Ho ben lasciato che venghi, come giunge. CRISAULO. A chi parlasti? FILENO. A quei di casa, ché v'era una corte che l'aspettava.

Ma guardo pure e non ci veggio alcuno. Quel non è Girifalco? Orsú! Mi voglio apparecchiare a una magra cena. Girifalco da ben, Dio ti contenti. Ti son pur servitor: ma sei un cert'uomo che non mi degni; o che tu m'abbia in odio, non so perché. GIRIFALCO. T'ho in luogo di fratello. PILASTRINO. Toccala qui. Vo' che istasera facci una bontá: che venga a cenar meco, se mi vuoi ben.

Pilastrino, ricercando qualche suo amico vecchio per mangiar seco, si imbatte in Girifalco e, per ire a cena seco, lo invita a cenar con lui; ed è dal vecchio scorto, onde il disegno vien fallato. PILASTRINO. Che farai istasera, Pilastrino? S'accosta ora di cena, e tu in casa non hai pan fuoco. Sono ora in piazza.

Tu sei saccente piú de la metá ch'io non pensava. L'altre cose tutte rimetto in te. ORGILLA. Che vuoi far da canto di quel fagian? PILASTRINO. Lo voglio di mia mano governare istasera: e imparerai un modo onde potrai fare al messere mangiarsi, un tratto, in cambio di lasagne, i suoi stivali. Come torna, digli che aspetti in casa; ché avrò il negromante stasera meco.

Non si balla, inanzi cena; ché ci ha fatto restar tanto per via questo gottoso ch'è passato l'ora di far le cerimonie de li sposi: onde siete pregati da madonna prima andarvene al letto e poi cenare. E, se vorrete pur tornar dimane e lasciarci istasera queste donne, vi fia concesso piú che volentieri.

Va' che istasera l'aspettiamo a quell'ora; e, se 'l vediamo, voglio che tu li dica due parole come t'insegnerò. LÚCIA. Farò a tuo modo. Ma pur che non ci tirino de' sassi, come ci veggian qui! FRONESIA. Non dubbitare: provederemo a tutto. Andiam di sopra e ci consiglieremo. E sará buono che 'l sappia ancor la vecchia.

Aimè, che torto! Lúcia, ti prego, attende a quel ch'io dico. Non mi lasciare andar cosí istasera beffato a casa, ch'io ti do mia fede che te ne pentirai. FRONESIA. Oh! co! co! Parla a una testaccia, che v'ho steso sopra un fassoletto. FILOCRATE. Aspetto ancora alquanto, se ti muove piatá. FRONESIA. Puoi aspettare. Chi nasce matto non guarisce mai. Il mal tuo non è a lune. FILOCRATE. Deh!

FILOCRATE. Fatevi qui da canto, appresso al muro, ché non diam sospetto a chi passa; e guardate bene intorno, se vedeste qualcosa; e fate solo quel ch'io farei per voi. COMPAGNI. ; va' pur via. Non ho paura ch'abbiamo istasera a insanguinar le spade. Anzi, son certo che potrem far l'amore a la sicura, qui, con questi pilastri. FRONESIA. Hai gente teco? FILOCRATE. ben.

Non gusta dolcezza sovr'ogni altra dolcezza o beatitudine chi 'l tuo mal non soffrisce. FRONESIA. Addio. Sia 'l ben tornato. E la cagione di questo ti vorria dire istasera a le tre ore: che tu ci venissi, ma bene accompagnato, perché forse, non istimando, interverrieti male. Cosí ti priego che tu sia contento e che torni istasera.