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Mi morrei se, un tratto, non gli pesto a mio modo quel mostaccio. Mettiam pur fuor la frasca. PILASTRINO. Orsú, madonna! Bisogna che abbi compassione un poco al messere ancor tu, poi che tu vedi come sta il poverin. ORGILLA. La mala pasqua, e presso che non dissi, che vi venga a tutt'e dui! Forse che non s'arrabbia per casa, poi, di questa massarizia e non rugnisce?

PILASTRINO. Tocca forte, ché non posson sentir. CALONIDE. Va'. Guarda a l'uscio, Fronesia. E tu vatti governa, Lúcia, con i panni ordinari; ché Crisaulo oggi verrá come ancor venne ieri. Forse non piace a Dio. Qualcun de' suoi l'avrá tenuto. FRONESIA. Apri, apri; è lui; è Crisaulo con molta gente. Oh che felice giorno! Lúcia, torna di qua. CALONIDE. Di' 'l vero? È desso? Èvvi il mio Girifalco?

PILASTRINO. È un gran signore: ch'altro che di pensier la vita nostra nutrisce; ed a sua posta la dilegua, mal grado nostro. ARTEMONA. Séguita, ch'io t'ho...

PILASTRINO. Queste ghiottoncelle m'han cavato 'l cervel de la memoria in modo ch'io non posso piú, senz'esse, vivere un'ora. TIMARO. E che! Sei innamorato? Di' il vero. PILASTRINO. Se sapessi come m'hanno concio! Non posso piú mangiare o bere, quand'io dormo; o dormir chiuder occhi, mentre ch'io beo, se prima non è vòto il fiasco.

Quanto meglio campeggia Pilastrino ne la santa illustrissima cucina, dando pro tribunal sentenze giuste del cappon lesso e del fagiano arrosto, del mangiar bianco e di quel sapor nero che si cava de l'uva e di quel verde che si trae de l'erbette fiorentine! Oh com'io son ben dotto in ordinare le buone gattafure genovesi! Oh! Io ne fo il bel guasto, per mia grazia! Cosí di queste nostre bolognesi.

GIRIFALCO. Dimmi altro, se vuoi nulla. PILASTRINO. Oh! Va', ch'io voglio, per non cenar da me, venir teco io a casa tua. GIRIFALCO. Perdonami. Non posso. PILASTRINO. E perché questo? Oh! co! La cosa è guasta. Oh! che spilorcio! GIRIFALCO. Ho forestieri a casa. Un'altra volta, poi. PILASTRINO. Ed io che sono? Arei pensato aver luogo nel letto ove tu dormi. T'ho pure ancor fatto qualche piacer.

Gli è bene un buon boccon, se la è congiunta con la mostarda; ma vuole esser porco di pochi mesi. Oh! Parti che 'l vecchione ragioni anch'egli de bene vivendo? Piace anche a me. GIRIFALCO. Deh! taci ivi, ti prego, o parla piano; ch'oggi ho poca voglia di cianciar teco. PILASTRINO. Tu sei pur lunatico, Girifalco: perdonimmi i tuoi anni. Deh guarda che natura!

Fronesia, or puoi chiamare il tuo Filocrate, ché è giunto il fin de' desidèri nostri. Saran tre nozze insieme in una festa. E, perché è tardi e passerebbe l'ora, è meglio cenar, prima. A le quattro ore potrá tornar ciascuno. PILASTRINO licenzia. Avete inteso, brigate?

GIRIFALCO. Deh! non ti partire. E dove, Pilastrino? Una parola odi, se vuoi. PILASTRINO. Non giá da quello orecchio. Di': che ti manca? GIRIFALCO. Cávali la cappa. Non odi, Orgilla? Vo' che desni meco, se non ti è grave. ORGILLA. Or che se l'ha cavata, il briacon, mio danno, se ogni mese non ci torna a veder. Parti governo, questo, di casa?

Ma non vorrei esser posto in sacrato, se non pensassi fare, anzi quel punto, vendetta e strazio di quella frittella che n'è cagione. PILASTRINO. E che pensi di fare? se Dio ti guardi, come ha fatto i denti, ancor la vista. GIRIFALCO. Se mai viene il tempo... Non vo' dire altro. PILASTRINO. Forniscel di dire. Che la farai, come ti vien dietro, morir forse in sul buco?