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Alfredo, si assopì una breve ora, disteso sul fieno, senza svestirsi. « però cessa amor con varie forme «La sua pace turbar mentr'ella dorme. TASSO Canto VII ERMINIA. E noi diremo mentr'egli poco dorme. Nientemeno che il nostro artista, durante le sue caccie in pianura, incideva siccome l'Erminia del Tasso, il nome amato sulla corteccia dei pioppi.

Don Procolo credette nella sua malinconia di veder il presepio in lontananza. Bebi era il bambino, l'Erminia la Madonna, gli altri i Re Magi e Carlinetto San Giuseppe. E lui don Procolo, lui era l'asino, a cui è stato imposto di soffiare sui figli degli altri. Se il salotto di Carlinetto era caldo e rischiarato, non bisognava dimenticare che la neve cadeva sui tetti, sulle strade, sulle campagne, a seppellire i casolari dei poveri, che non sanno come ripararsi. Perchè non mandava, almeno lui prete, un pensiero d'amore ai bisognosi, ai mendicanti, ai malati, agli orfanelli pei quali non v'è pane panettone? perchè non usciva anche lui, sacerdote e padre dell'amore e della misericordia, a bussare a tutti gli usci dei poverelli e a portare un cesto di pane a chi non ha nemmeno la mostarda per accompagnarlo? Ma la gola tira l'egoismo e tutti e due insieme fanno l'asino del presepio cocciuto contro il bene. Una soave carit

Carlinetto gli tolse la roba dalle mani e lo spinse verso il fuoco in mezzo agli altri due, che non cessavano di tormentarlo. Ma in quel momento entrò l'Erminia e i tre vecchi giovinastri si schierarono in fila come i soldati. Carlinetto cominciò le presentazioni.

Allora si può pretendere che anche don Procolo metta i piedi sulla tavola. Omnia munda mundis esclamò il prete, che cominciava a sbrodolare la coscienza colla minestra calda. E Battistone? a che cosa pensi, eccelso Battistone? al povero zio moribondo? Battistone rideva nella gola d'un riso grasso e affannoso. Si possono conoscere questi grandi segreti? gli domandò sottovoce l'Erminia.

Pax in terra hominibus disse il prete. Et donnibus soggiunse Carlinetto con un latino tutto suo. Si rise ancora una volta tutti insieme. L'Erminia a ridere pareva un campanello. E voleva dire se per una donnina così non c'è il suo tornaconto anche a fare uno sproposito. Ma tutti erano curiosi di sapere com'era andata l'avventura del telegramma.

Carlinetto andò a informare l'Erminia come la Ludovina nell'uscire avesse scoperta l'ombrella della bugia e insieme combinarono d'avvertirne il capitano perchè sapesse regolarsi. Battistone, tornando a casa, doveva aspettarsi una scenaccia di gelosia, ma forse l'occasione era opportuna per rompere definitivamente dei rapporti che non facevano troppo onore a un uomo di sentimento.

Parla adunque! L'Erminia vedete... Ebbene? È innamorata. Oh bello! Ma di chi? Oh mio Dio, non avete mai notate le infinite cure che le usa il signor Flavio nostro maestro di disegno; non li avete mai sorpresi in dolci colloqui, non mai osservato com'essa si confonde allorquando le parlate di lui e come la sua mano trema sul disegno quando Flavio si ferma a contemplarla?

L'Erminia vestiva quell'abito color vino di Montevecchia che porta tutte le feste alla messa del prevosto a S. Maria alla Porta, quando la si vede raccolta nel suo gran velo nero, col libro di velluto sanguigno fra due morbidi guanti chiaretti, Al Sanctus s'inginocchia, nasconde la faccia tra le pagine della sua «Via al Cielo» e si alza poi più lieta e più rossa dopo aver pregato per i bambini, per Carlinetto e un poco anche per i suoi peccatucci veniali.