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Il viso, di Vittor Hugo, infatti, per me, è ancora un problema. È un viso che ha due fisonomie. Quando è serio, è serissimo, quasi cupo; pare un viso che non abbia mai riso, non solo, ma che non possa ridere; e i suoi occhi guardano la gente con un'espressione che mette inquietudine. Gli si direbbe: Hugo, fatemi la grazia di guardare da un'altra parte. Sono gli occhi d'un giudice glaciale o d'un duellante più forte di voi, che voglia affascinarvi collo sguardo. In quei momenti mettetegli, col pensiero, un turbante bianco sul capo: è un vecchio sceicco; mettetegli un casco: è un vecchio soldato; mettetegli una corona: è un vecchio re vendicativo e inesorabile. Ha non so che dell'austerit

Qual parentela di indole e di gusto letterario tra Victor Hugo e Lamartine, tra Musset e Beranger, tra Dumas e Giorgio Sand, tra Flaubert e Alfonso Karr, tra Coppée e Zola?

Uno di questi aveva le finestre aperte e, dentro, qualcuno suonava «Der Musikant» di Hugo Wolff. Una voce di donna cantava. Wenn wir zwei zusammen wären Möcht' das Singen mir vergeh'n. Mi fermai. Tornai indietro; salii la larga scalinata bianca, e suonai il campanello. Immediatamente la porta fu aperta da un domestico in sontuosa livrea. «Desidero parlare colla signora che canta», dissi.

Vittor Hugo mi fece sedere al suo fianco, e mi indirizzò la parola. Si fece subito, un gran silenzio attorno, per prestare attenzione al nostro dialogo, che da parte mia si riduceva a quelle rare e timide risposte che sono di prammatica in simili udienze. Vittor Hugo dichiarò che riguardava la Spagna come sua seconda patria, mostrò il suo dispiacere di vederla molto indietro su la via del progresso e soggiunse che non poteva essere altrimenti in un paese dove la Santa Inquisizione aveva martoriato senza piet

Poi sentii la sua voce; una voce grave, ma dolce, in cui mi parve di sentire mille voci, e che mi stupì, come se, udendola, vedessi comparire Vittor Hugo per la seconda volta. Siete il benvenuto in casa mia, signore disse. Voi avete cuore. Siete un amico. Avete fatto bene a presentarvi così. Vi ringrazio con tutta l'anima. Non volete mica lasciarmi subito, non è vero?

In un momento d'entusiasmo, dinanzi a un quadro o a una statua, vi sfugge una parola, un gesto, un sorriso: basta, siete legato, siete suo, siete preda di questa implacabile pieuvre umana, che come quella di Victor Hugo, non lascia la vittima che a tagliarle la testa.

E non ostante, una mattina, mi trovai senza avvedermene nel cortile della casa N.° 20 di via Clichy, in faccia al finestrino del portinaio, e sentii con un certo stupore, come se parlasse un altro, la mia voce che diceva: Sta qui Vittor Hugo? Ero ben certo che stava l

Poi alcuni si congedarono e Vittor Hugo fece entrar gli altri nel salotto accanto, stringendo la mano a tutti, mentre gli passavano davanti.

Eppure, ecco un problema per gli scrutatori del cuore umano. Verso sera, un'ora prima d'andare, tutt'a un tratto mi si fece dentro come un silenzio mortale. Mi sentii improvvisamente vuoto, asciutto e freddo. Mi parve che, comparendo davanti a Vittor Hugo, non avrei sentito la menoma scossa, trovato una parola da dire. E ne rimasi atterrito. Poichè, insomma, non c'è che una commozione profonda e visibile che giustifichi l'audacia di quelle visite: quando la commozione manca, par che si vada l

Era bello a vedersi il contrasto tra la furia delle onde che flagellavano i fianchi della diga, e la calma impassibile di quegli uomini che pareva quasi un'espressione di disprezzo per il mare. Mi passò per la mente che dicessero in cuor loro, come il marinaio dell'orca dei Comprachicos nel romanzo di Vittor Hugo: "Muggi, vecchio!"