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DON IGNAZIO. O madre, cavami fuor delle porte della morte, dimmelo certamente se è viva; perché ella sará mia, ancorché voglia o non voglia tutto il mondo. POLISENA. Ed ella piú tosto vol esser vostra che sua, e per non esser d'altri volea esser piú tosto della morte. DON IGNAZIO. Donque gli occhi miei vedranno un'altra volta Carizia, e aran pur lieto fine le mie disperate speranze?

POLINICO. Donque hai tu detto mal di me? FESSENIO. Tu stesso il di'. POLINICO. Pazienzia! Non intendo quistionar teco, ché saria uno gridare co' tuoni. FESSENIO. El fai perché non hai ragion meco. POLINICO. El fo per non usare altro che parole. FESSENIO. E che potresti tu mai farmi in cent'anni? POLINICO. El vederesti. E cosí, cosí... FESSENIO. Non stuzzicar, quando fumma el naso de l'orso.

Rub. Hor non più: donque: sol la degna: offerta Tua magnanimo signor: m'ha sodisfatta Se in cotesta arte: mai mostraimi experta Hor mostrerommi: & fia tua voglia fatta: Che s'io me affronto sieco: i' resto certa Che non ser

Donque donna gentil, piaquate aitarme Ch'io son d'ogni altro il più forte in battaglia Eccome in punto guarnito, a tutte arme E questa spada, ogni armatura taglia Et vogli in qualche effetto tuo, provarme Che l'huom forte, si vede in gran travaglia: Ascolta quanti millitando ho vinti Quai feriti, quai presi, & quali extincti

Onde saresti cagione d'una mia doppia morte; donque per quanto amor mi porti, lascia ch'io sodisfaccia al mio desio e con una volontaria prevenga la necessaria mia morte. E dopo morta, scuopri per ordine ad Erasto il tutto, e digli che occecata da troppo ardentissimo amore ho fatto quanto ho fatto.

Dove astretta. da prieghi. e pietade Messumi a far quel ch'io non feci mai E per suo nome. i' dico este parole Che lui. vogliando voi. vostro esser vole. E questa letra de sua man torrete. Qual dil suo sangue. e pianto è tinta. e mista. Ch. Donque queste son l'opre. che vendete. Che doveresti vergognarvi. trista. Ru. Madonna. per schivar scandol. tacete. Che sol infamia per gridar. se aquista.

Sia donque benedetto, il primo sguardo Che fu cagion de farmeti sugetto Sia benedetto il fuoco, nel qual ardo: E il colpo che per te, porto nel petto Sia benedetto il velenoso dardo: Che a dolce morte spesso m'ha constretto Sian benedetti i lacci e le cathene Che mi tengono avolto in dolci pene: Mai non sia del lodar mia lingua stancha Tua divina belt

CRICCA. Donque sei il vignarolo: ché se tu fussi Guglielmo, l'avria sentito Guglielmo e no il vignarolo. VIGNAROLO. Anzi, però l'ho sentito io perché son Guglielmo; se fusse il vignarolo, l'avria sentito il vignarolo e non Guglielmo. CRICCA. Io ho dato al vignarolo e non a Guglielmo. Ma dimmi, chi è innamorato di Armellina, il vignarolo o Guglielmo? VIGNAROLO. Il vignarolo.

CALANDRO. Tu m'hai risposto tanto a proposito quanto voglio. Ma lassiamo ire. Donque l'ascolta volentieri, eh? FESSENIO. Come «ascolta»? Io l'ho giá acconcia in modo che fra poche ore tu arai lo attento tuo. Vuoi altro? CALANDRO. Fessenio mio, buon per te. FESSENIO. Cosí spero. CALANDRO. Certo. Fessenio, aiutami; ch'io sto male. FESSENIO. Oimè, padrone! Hai la febbre? Mostra. CALANDRO. No. Oh! oh!

No. Aymè, che cosa è quel che dirti sento: Donque per troppo amar, merito questo Dhe dio quando ser