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Rugger mostrossi irato nel sembiante, e disse: O Dio, quando averò mai posa? Non mi potete dar maggior sciagura di questa ch'ora provo piú dura. E terribil volgendosi a Marfisa, disse: Aprite gli orecchi a quel ch'io parlo.

Poi 'l tempo c'ha cent'ale a gli omeri, a le mani, al capo, ai piedi, ch'ora sotterra giace in le catene, verria stôrti dal bene ch'oggi lieto godi e te 'l possedi; e ne faria soi giorni e mesi eredi. «Quanto maiora beneficia sunt hominibus constituta, tanto graviora peccantibus iudicia». CHRYS.

Assettatevi tutti ben, ch'io possa mettervel tutto ne la fantasia, pel buco de l'orecchio, come s'usa. Fermi! Aspettate, ch'ora ci va dentro. Oh! Gli è 'l gran caldo! In fin, queste borsette, per parlare in linguaggio veniziano, non son mia arte; e, non vi entrando tutto il brodo d'esse, non si fa nigotta.

Scherza e salta e pigliati sollazzo or, Pilastrin, ché di troppa dolcezza par che ti senta andar tutto in condime. Oh! Ve' che starò, un tratto, un giorno allegro! ché è giá quindici che sono stato come le donne quando han le lor cose, fortuna ladra! CRISAULO. E che debbo dire io? ch'in duo sol giorni era giá fatto tale ch'ora mi pare uscir di sepultura e tornar vivo.

Tra la vecchia ne sorride, e agogna di stimularlo e di più dargli angosce. Gli ricorda ch'andar seco bisogna: e Zerbin, ch'ubligato si conosce, l'orecchie abbassa, come vinto e stanco destrier c'ha in bocca il fren, gli sproni al fianco. Colei che fu sopra le belle bella, ch'esser meco dovea, levata m'hai. Ti par ch'in luogo ed in ristor di quella si debba por costei ch'ora mi dai?

CORONA. O smemorata me, ch'ora me lo ricordo! Ma dimmi: è di Teofilo? LIVIA. Non sai che solamente vi si fa menzione di Merlino, Limerno e Fúlica? CORONA. Troppo me lo ricordo! Ma che fusse di tuo fratello Camillo mi pensava. LIVIA. Tu non pensasti dritto: è di Teofilo.

Rispose: Chi col Sol fece la Luna tolse contra mie Forze lor difese. Sciocco qual sei! è quel Foco disse Amore ch'or Angiol or Demonio appare, come temprar sannosi altrui sotto mia Stella. Tu Imperatrice ai corpi sei, ma un cuore benché sospendi, non uccidi, e un nome sol d'alta Fama tienti un Bagattella. Venere. Ma che miracolo è questo ch'ora veggio, Triperuno mio? TRIPERUNO. Dove?

53 Come ne l'alto mar legno talora, che da duo venti sia percosso e vinto, ch'ora uno inanzi l'ha mandato, ed ora un altro al primo termine respinto, e l'han girato da poppa e da prora, dal più possente al fin resta sospinto; così Filandro, tra molte contese de' duo pensieri, al manco rio s'apprese.

40 Dicea: Fortuna, che più a far ti resta acciò di me ti sazi e ti disfami? che dar ti posso omai più, se non questa misera vita? ma tu non la brami; ch'ora a trarla del mar sei stata presta, quando potea finir suoi giorni grami: perché ti parve di voler più ancora vedermi tormentar prima ch'io muora. 41 Ma che mi possi nuocere non veggio, più di quel che sin qui nociuto m'hai.

Parlerò di modo che alcune parole ne ascolterá egli che li parranno che vadino in suo favore, e parlerò basso poi quelle che non voglio che ascolti. Balia balia! accostati a me. BALIA. Eccomi, signora mia. AMASIO. Di' a Lidia che ascolti dalla fenestra ch'ora ragionerò di lei a Cintio, perché me ne porge occasione; e aiutami come m'hai promesso.