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I più m'amavan per stessi, e vidi Taluni rinnegarmi, e perfid'eco Far contra me di vil calunnia a' gridi. Ed io, folle, piangea! Ma quand'io meco Sentìa il celeste amico mio verace, L'angosciato mio core effondea seco, Ed ei benigno v'istillava pace! Angiol mio, dove sei? Mai dal mio fianco Non ti partir, che s'appo me non t'odo, Tu sai quanto al ben far divenga io stanco.

Pingetemi raggiante dall'Empiro Degli Angiol la Regina che sorride: Dicesi che talor nel sacro giro Delle Rogazïoni alcun lei vide; Dicesi che commossa dal sospiro Di quell'anime semplici a lei fide, Col divin Figlio i campi benedisse, gragnuola per molti anni li afflisse. E belle son le supplici Pompe di penitenza in alto lutto, Quando da morbo orribile A gran terrore un popolo è condutto.

L'uom qual angiol saria se affrontatore Della sconfitta sua stato non fosse, Bandiera alzando contro al suo Fattore. Ma il reo di sua stoltizia addolorasse, E lagrime spargendo si sommise, E Dio intese sue preci, e si commosse. Del mortale a custodia un Angiol mise, Che lo guidi e consoli, e ognor ripeta: «Tieni a salute le pupille fise».

Quando 'l Foco d'Amor, che m'arde ognora, penso e ripenso, fra me stesso i' dico: Angiol di Dio non è, ma lo nemico che la Giustizia spinse del ciel fora. Ed è pur chi qual Angiolo l'adora, chiamando le sue fiamme «dolce intrico». Ma nego ciò, ché di Giustizia amico non mai fu chi in Demonio s'innamora.

Angiol di luce, or taci: per il mondo non stan contese: Amor porge il bicchiere e ci invita al festino: oh, più fecondo di bell'opre non fu certo il Piacere.

Siam colpiti, ma non maladetti, Man paterna è la man del Signor. Per provarci con prova più forte, Per destarci a più nobil costanza, Egli ha detto ad un angiol di morte: Tue saette raddoppia su lor. Invisibil quell'angiolo armato Scorre l'aer, e su' lidi ove passa Pianti ed urli e cadaveri lassa, E prosegue il mortifero vol.

Rispose: Chi col Sol fece la Luna tolse contra mie Forze lor difese. Sciocco qual sei! è quel Foco disse Amore ch'or Angiol or Demonio appare, come temprar sannosi altrui sotto mia Stella. Tu Imperatrice ai corpi sei, ma un cuore benché sospendi, non uccidi, e un nome sol d'alta Fama tienti un Bagattella. Venere. Ma che miracolo è questo ch'ora veggio, Triperuno mio? TRIPERUNO. Dove?

Pur, mentre impreca e sogghignando nega, Angiol ribelle, il cor, Mite una voce dal profondo prega: Amore, amor!... Vedova triste che silente stai Nel tuo gramo tugurio affumicato, E cuci, e cuci, e non riposi mai Presso il letto del tuo figlio malato; Che su la faccia scolorita e mesta D’un antico dolor serbi le impronte, E sei tanto infelice e tanto onesta, Vedi, vorrei baciarti sulla fronte.

Quanti siete v'imploro, a fin che immerso Non vada alcun d'infra gli amati miei Nella voragin dello stuol perverso! E te precipuo invoco, Angiol, che sei Protettor delle belle Itale rive, Difendi il popol mio da influssi rei! Tuoni del Campidoglio in sul declive possente la voce della Chiesa, Che salvatrice a tutte genti arrive!