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Cosí le morti, i martíri e i dolori, per dar vita a noi altri, egli sopporta: onde, s'io l'amo! ARTEMONA. Non dir piú: t'ho inteso. Il tuo amore è 'l boccale. PILASTRINO. Tu l'hai detto: con la minestra e la carne e la torta e tutti gli animai, gli uccelli e pesci e ancor con tutte le manifatture de l'arte di cucina. Parti ch'abbia perduto il senno, come soglion gli altri innamorati?

Il cod. B legge persona. Il cod. L gaeta, il cod. B gaecta. Il cod. B legge invece di con, di doglia. Il cod. B animo. Comincia il II Capitolo Lo giorno se n'andava, e l'aire bruno Toglieva gli animai che sono in terra Dalle fatiche loro e io sol uno

1 Tutti gli altri animai che sono in terra, o che vivon quieti e stanno in pace, o se vengono a rissa e si fan guerra, alla femina il maschio non la face: l'orsa con l'orso al bosco sicura erra, la leonessa appresso il leon giace; col lupo vive la lupa sicura, la iuvenca ha del torel paura.

«Toglieva gli animai che sono in terra, Dalle fatiche loro». Dimostrane qui l'autore una delle operazioni della notte, la quale l'ordine della natura attribuisce al riposo e alla quiete degli animali, degli affanni avuti il passato; percioché, se alcun tempo al riposo non si prestasse, non sarebbe alcuno animale che nelle sue operazioni potesse perseverare; e però dice l'autore che l'aer bruno «toglieva», cioè levava, «Dalle fatiche loro». E séguita: «ed io sol uno». Par che qui sia un vizio, il qual si chiama «inculcatio», cioè porre parole sopra parole che una medesima cosa significhino, come qui sono; percioché «solo» non può essere se non uno, e «uno» non può essere se non solo; ma questo si scusa per lo lungo e continuo uso del parlare, il quale pare aver prescritto questo modo di parlare, contro al vizio della inculcazione.

Lo giorno se n'andava, e l'aere bruno toglieva li animai che sono in terra da le fatiche loro; e io sol uno m'apparecchiava a sostener la guerra si` del cammino e si` de la pietate, che ritrarra` la mente che non erra. O muse, o alto ingegno, or m'aiutate; o mente che scrivesti cio` ch'io vidi, qui si parra` la tua nobilitate.

Anzi ciel terra 'l mar era, averli mai veduto mi sovvenne; non verno, estate, autunno, primavera, non animai de' peli, squamme o penne; non selve, monti, fiumi, non minera d'alcun metallo; non veli antenne, mercé ch'era del Caos in la massa d'ogni ombra piena e d'ogni lume cassa.

Ed io incomincerò; ma aveva sbagliato: la storia non principia al Canto sesto, bensì al quinto; e sfogliato di alquante pagine il libro, prese con bella grazia a declamare dal verso Tutti gli altri animai che sono in terra, fino ai seguenti: Quel, dopo molti preghi, dalle chiome Si levò l'elmo, e palese e certo Quel che nell'altro canto ho da seguire, Se grato vi sar

E quegli che altra via tengono, essendo nobili di sangue e di gran facultá, debbiam chiamargli animai brutti. Avarizia malnata, d'ogni altro mal radice! O pien d'inganni, fraudi, ruine e morti, oro, tiranno fatto di quello a cui ti fe' suggetto chi tutto fe'! Come può tanto errore fermarsi in noi? poi che veggiamo espresso che chi piú n'ha piú stenta e manco gode. Ché nol fuggiamo?

64 O felice animai ch'un sonno forte sei mesi tien senza mai gli occhi aprire! Che s'assimigli tal sonno alla morte, tal veggiare alla vita, io non vo' dire; ch'a tutt'altre contraria la mia sorte sente morte a veggiar, vita a dormire: ma s'a tal sonno morte s'assimiglia, deh, Morte, or ora chiudimi le ciglia!

Lo giorno se n’andava, e l’aere bruno toglieva li animai che sono in terra da le fatiche loro; e io sol uno m’apparecchiava a sostener la guerra del cammino e de la pietate, che ritrarr