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«Cherispondeva il Candiano scuotendosi agitatissimo. «Morte e dannazionegridò il Fossano sciogliendosi dalle braccia dell'ammiraglio. Questi ancora tentava rattenerlo. «No, lasciatemi: ch'io vada a strapparla dalle mani di quell'infame uomo. Aimè che pur troppo era vero il mio presentimento.

L'aprì, ed entrarono ambedue nel gabinetto della marchesa. «Aimè! eccola l

Aimè, in quale trista situazione mi ha posto la mia sciagurata debolezza. Io sono costretto a secondarti per impedire un male maggiore. Coll'essere teco io servo almeno a tenerti in una certa misura, e a conservare il secreto sulla tua condotta. Dunque mi compiacerai? , e Dio me lo perdoni. Forse dovrò per te dannarmi l'anima.

CRISAULO. Aimè! Dolce mia luce, quando mai resterai di tôrti in gioco questa mia miser'alma? e quando avranno mai fin tante passioni? e le cocenti fiamme fian spente? e quando fia mai vinta da pietá cosí dura altera mente? o di me sazia quella cruda voglia? Certo, non mai; ché la mia sorte è tale ch'io sempre peni.

È, ! Molto fantastico parmi. LIDIO femina. Ahi fortuna! FESSENIO. Da parla. LIDIO femina. In che laberinto mi trovo io! FESSENIO. Che cosa fia? LIDIO femina. Devo io cosí subito rovinare? FESSENIO. Oimè! che ruina fia? LIDIO femina. Per esser troppo amato... FESSENIO. Che vuol dir questo? LIDIO femina. ... devo io questo abito lassare? FESSENIO. Aimè! Trama fia.

PILASTRINO. , vidi poi a l'uscire, che fu in sul buio; ma non so giá dirti quel che v'avesse fatto. GIRIFALCO. Aimè tapino! Perché voglio piú viver? Prego il cielo che faccia in modo ch'io mi rompa il collo prima ch'abbi a morir di questa morte. Cara la vita mia, non ti ricordi giá piú di me. Tu mi fai pur gran torto, ché sai che 'l primo non ti cercava.

"E tien lungi l'April, che in forma nova, "Aimè, mutar si deve! "Deh!... Tien lungi l'Aprile!... Ave, o Signore! "Noi siamo lieti della nostra sorte... "L'April tien lungi, chè mutarci in fiore "Vuol dir darci la morte!" Milano, giugno 1875.

Non t'arei in mill'anni affigurato; ché pari un altro. FILOCRATE. Aimè! Son bene un altro: cangiato di presenza negli affanni; ma quello sventurato di mai sempre. Io piango di dolcezza e di dolore: ché mi veggio condotto, al fin, dove mi fia la morte men dogliosa e grave; da poi che piace al ciel. FRONESIA. Lascia andar questo.

Io dovrei sgridarti per lo sforzo e per la commozione che avrai sostenuto, ma sarebbe inutile dopo il fatto. Or bene? Or bene, ci siamo guardati e salutati colla più grande passione. Aimè, quale angoscia il non poterci veder più da vicino, e dirci più chiaramente quello che proviamo di piacere e di tormento. Se avessi alcun che di lei, una sua memoria da tenermi sul cuore!

FILOCRATE. Quando fia mai l'ora per me tanto felice che, legati d'eterno nodo, di tante fatiche e tanti stenti al fin mi sia concesso cogliere i dolci frutti? Aimè! ch'io temo, come mi cognosco al tutto indegno d'un tal tesor, che non mi sia negato da la mia sorte. CALONIDE. Lascia andar da canto queste tuoi leggerezze. Ora attendiamo che si dia fine.