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Come toro superbo in riva amena, Ove fu duce di mugghianti armenti Sbranato da leon, con larga vena Riversa sul terren caldi torrenti, Tal colui sanguinoso in su l'arena Macchia presso al morir l'arme lucenti; A lui volge AMEDEO ben ratto il dorso, E contra i rei nemici affretta il corso.

Quel giorno, dopo tanto erotico digiuno, ella sarebbe stata in gran vena di pazzie; e se Filippo avesse saputo fare, ella sarebbe tornata sua amante d'un giorno, con entusiasmo, malgrado la manifesta arsura di lui. Povero Filippo Marliani!

29 Col fuoco dietro ove la canna è chiusa, tocca un spiraglio che si vede a pena; a guisa che toccare il medico usa dove è bisogno d'allacciar la vena: onde vien con tal suon la palla esclusa, che si può dir che tuona e che balena; men che soglia il fulmine ove passa, ciò che tocca, arde, abatte, apre e fracassa.

Una brava donna da casa farebbe scomparire in un punto le sue angustie, caro dottore! vi ha ella pensato? Eh via, siete in vena di scherzare, Zaeli. No davvero; quale difficolt

Piantate per sempre le tende, L'affanno distende di un'ora. Ristora nel placido oblìo Lo stanco desìo, dell'alma Le crude ferite ristora. Le belle voci e il vago incantamento Aprir nel sasso la feconda vena, Che corse come un rivolo d'argento. La risorta fanciulla, a cui serena Splendea la pace nel raggiante viso, Mi die' dell'acqua colla mano piena, Reggendomi degli occhi col bel riso.

La mia vena innocente, che cercava solo di spassarsi nel partorir le immagini delle quali si era impregnata sulla lettura del suo Turpino e in una taciturna e universalissima osservazione sugli uomini, ebbe alquanta stizza.

Antonino Galfo, siracusano, amico intimo del Metastasio, nel seguente arguto sonetto: Un panormita Precettor, che spesso Il pranzo, per ciarlar, lascia e la cena, Sfogava nel ginnastico consesso La sua loquace, inesiccabil vena. Il segno alfin sonò, per cui concesso È al misero fanciullo uscir di pena, si avvedea, che da le ciarle oppresso Chi grattavasi il capo, e chi la schiena.

ché quella voglia a li alberi ci mena che menò Cristo lieto a dire ‘Elì’, quando ne liberò con la sua vena». E io a lui: «Forese, da quel nel qual mutasti mondo a miglior vita, cinqu’ anni non son vòlti infino a qui. Se prima fu la possa in te finita di peccar più, che sovvenisse l’ora del buon dolor ch’a Dio ne rimarita,

E i miei occhi si fissavano su quel cranio molle, sparso di crosta lattea, giallognolo, simile a un pezzo di cera segnata nel mezzo da un incavo. Tutte le suture erano visibili. La vena temporale, cerulea, si perdeva sotto la crosta. Guardate! Guardate! La lieve reviviscenza fittizia provocata dall'etere si spegneva. Il rantolo aveva ora un suono particolare.

Il discepolo allora si fece a chiamarlo ad alta voce più volte; ma invano. Il rantolo del moribondo si faceva a mano a mano più fioco; una spuma sanguinolenta gli gorgogliava sulle labbra, che apparivano violentemente contratte da un lato. Il Collini fu pronto a trar fuori la busta chirurgica, e cavatane la lancetta, aperse largamente la vena giugulare, donde spiccarono poche gocce di sangue nerastro, gi