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Aggiornato: 28 giugno 2025
TRINCA. Sí, sí, d'un certo capitano che certi mascalzoni vennero per assaltarlo, ma ch'egli si salvò con una bella ritirata. TRASIMACO.
E il peggio è, che hai detto mal di lui al capitano... GULONE. Possa digiunar un mese, se è vero. TRINCA. Giurane su questa orecchia d'asino! GULONE. Ho sempre dubitato che fussi un asino; ma or che me ne mostri l'orecchio, ti stimerò tale da oggi avanti.
Non è gran tempo questo che vi domando. Inviamo Trinca, intanto, in casa vostra, e sappiamo che dica o faccia Cleria, perché io ti vo' far compagnia. ATTILIO. Quel nome di Cleria, che fu prima lo spirito della mia vita, or è morte della mia vita; però, se m'amate, non me la nominate piú. Amor prima ci giunse, or crudel fortuna ci disgiunge; né ho altra speranza, che sol morte ne congionga.
Abbiam bisogno di prestezza, perché il tempo ne stringe; e quanto ci ha nociuto la passata tardanza, tanto ci giovi la presente prestezza: il mondo è goduto da solleciti. ATTILIO. Eccoci all'ubbidirti. TRINCA. Voi, Attilio, perché i vecchi sono ostinati, e i loro cervelli si muovono al moto della luna, umiliatevi a vostro padre.
ATTILIO. Ed io la mia Cleria. TRINCA. Ed io la forca o la galera, se si scuopre. ATTILIO. Speriamo che amore e la fortuna ci favoriranno. EROTICO. L'invenzione è tanto bella, che porta seco i rimedi di tutti gli infortuni che ci potessero intervenire. ATTILIO. Speriamo bene, che il mal non manca mai.
PEDOLITRO. Come mio figlio ha potuto dirvele, se non sa parlar italiano? PARDO. Trinca, il mio servo, l'ha parlato in turchesco, che l'ha imparato a parlar in Constantinopoli. PEDOLITRO. Questo ha detto mio figlio? PARDO. Anzi, di piú, che avete bevuto nell'osterie e state imbriaco, e non sapete dove abbiate il cervello. PEDOLITRO. Mi fo la croce.
TRINCA. Ben sapete che il volersi sodisfare de illeciti amori e di poco onesti desidèri suol partorir mostri d'infamia e di disgrazie, perché non si conseguiscono se non con inganni e sceleratezze, le quali al fin vengono a scoprirsi, e l'uomo cade poi in travagli peggiori; ma a ciò m'indussero le vostre preghiere. ATTILIO. Ancor che te ne pregava, non dovevi aiutarmi.
TRINCA. Potrebbe ben essere, ché il mio padrone ha gran piacere quando dice mal d'altri. TRASIMACO. Mi sapresti dir se ragiona mai dell'eroiche virtú d'un capitano? TRINCA. Chi capitano?
TRINCA. Veramente, quel vento che minacciava tempesta, s'è dileguato in semplice ruggiada. Quel maladetto nolano, venuto da Constantinopoli, ci avea posto in evidente pericolo di perder quello che avevamo fin qui oprato felicemente. ATTILIO. Mi era confuso e alienato di sorte, che era posto giá in disperazione; ma tu, con quella pronta bugia del parlar turchesco, la rimediasti assai bene.
PARDO. Io credo che si se cercasse per tutto il mondo fra vecchi canuti il piú balordo, stordito, goffo e scimunito, che sarebbe da me di gran lunga avanzato di balordaggine e di sciocchezza, perché m'accorgo che sono stato beffato, aggirato da quel furfante di Trinca e da mio figlio.
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