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Aggiornato: 22 novembre 2025
TEODOSIO. Tu eri appena di duo anni che, tenendoti in braccio e andando a diporto per lo capo di Pausilippo, fummo disavedutamente presi da' corsari. A me parendo aver un pegno dell'amor grande che portava a Sennia mia consorte carissima, mi son ito sempre teco disacerbando la passione che ne soffriva.
TRASILOGO.... Tu perché con questo spiedo? SQUADRA. Per infilzar Mastica, come avete detto, accioché non ingoi piú fegatelli. TRASILOGO. E Olimpia e Sennia insieme con lui. SQUADRA. Non tanto male a' poveretti: è troppo gran vendetta. TRASILOGO. Io per minor cosa di questa rovinai la Capestraria, l'Arcifanfana e la Cuticulindonia. SQUADRA. Dove sono queste cittá, padrone?
SENNIA. Come sai questo tu? SQUADRA. L'ho visto or ora menar prigione da' birri; e di questa trama Mastica ne è stato il mezzano. SENNIA. Ah traditore! SQUADRA. Avete il torto ingiuriarmi. SENNIA. Non parlava con te. SQUADRA. Trasilogo ha preso Cornelia, di che era stato stimulato da' parenti; e or si fanno le nozze con contento d'ambedue le parti. Ho fretta, ti lascio in pace.
Non è vivo alcun di nostri parenti? ove è Beatrice mia sorella, ove è Eunèmone mio fratello? forse mi riconosceranno meglio di voi.... TEODOSIO.... Ti sei a torto, Sennia, dimenticata di tanto nostro scambievole amore, ché in quel breve tempo che stemmo insieme non ebbe il mondo duo sposi che s'amassero piú di noi.... TEODOSIO.... Non avete un neo nell'ombelico con certi peluzzi biondi?
LAMPRIDIO. Dammi licenza, madre, che possa andar a veder Olimpia mia e confortarla, che per questi casi successi dubito che s'affliga. SENNIA. Eccoti le chiavi, ché l'aveva carcerata in una camera, e quivi pensava o attossicarla o che fusse suo perpetuo carcere e monistero. LAMPRIDIO. O Dio, e io era cagione di tanto male! quanto conosco che ti son debitore!
Balia ANASIRA commare MASTICA parasito OLIMPIA giovane TRASILOGO capitano SQUADRA suo servo LAMPRIDIO innamorato PROTODIDASCALO suo pedante GIULIO studente SENNIA vecchia madre di Olimpia TEODOSIO vecchio marito di Sennia EUGENIO suo figlio FILASTORGO vecchio padre di Lampridio LALIO paggio Capitano di birri. La scena dove si rappresenta la favola è Napoli. BALIA, ANASIRA comare.
MASTICA. È dunque questa la casa tua? TEODOSIO. Dimmi prima se questa è la casa di Sennia. MASTICA. Questa è la casa di Sennia: è per questo la tua? TEODOSIO. Io son Teodosio suo marito che sono stato venti anni in man di turchi, e or scampato la Dio mercé dalle lor mani me ne ritorno a casa mia. TEODOSIO. O di casa! Tic, toc.
SENNIA. Lo nieghi ancora? MASTICA. L'arciniego ancora. Ti giuro per questo stomaco e questa gola come non so nulla di quanto dite. SENNIA. Dunque non sei stato tu? MASTICA. Voi proprio il dite. SENNIA. Cosí cotesto stomaco ti sia aperto e a cotesta gola ti sia posto un capestro dal boia, che non mangi né bevi piú mai, come tu sei stato cagion d'ogni cosa!
EUGENIO. Te lo dicono l'opre. LAMPRIDIO. S'io non facessi torto al boia che ti aspetta, ché ti veggio le forche scolpite negli occhi, ti sfreggiarei cotesta faccia bugiarda, accioché ogni uomo da questo segnale si guardasse non farsi ingannare da te. SENNIA. Eugenio, figlio, non gli far male; mi paiono di buona ciera. LAMPRIDIO. Ma sono di cattivo mele.
Si pensava questo asino che se non mangiava in casa sua che mi morissi di fame: vo' che mi preghi. Será piú quello che butterò questa sera, che quanto egli ha mangiato un anno in casa sua. Avisarò Lampridio e Sennia di questo inganno che voglion fare, acciò quando verranno gli diamo la baia. TEODOSIO vecchio, EUGENIO suo figlio. TEODOSIO. O patria dolce, o case tanto desiderate di rivedervi!
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