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MASTICA. Se trovarete tal cosa, voglio esser squartato e attaccato per li piedi alle dispense come presciutto, e i miei quarti come carne salata. SENNIA. Ma io non vo' darti altro castigo se non che in questa casa, che tu hai poco onorata, non habbi piú mai da mettervi il piede. MASTICA. Voi burlate! io me n'entro. SENNIA. Ti lascierò fuor io, e non far piú pensiero d'entrarvi.

SENNIA. Anzi in tormento e angoscia. O vita mia, serbata in sino a tanto che avessi visto cosa di che fussi forzata a dolermi mentre io viva! O vecchiezza viva mia, perché non mi manchi? or conosco che col lungo vivere si sopportano molte adversitadi. Oh con quanto pericolo si guardano le cose che piacciono a molti!

TEODOSIO. Ah Sennia, come non mi raffiguri tu ancora? o forse lo strano abito in che mi vedi o i disaggi sufferti m'hanno talmente mutato il sembiante che non mi riconosci? Poiché sei mia moglie, deh lascia che t'abbracci! EUGENIO. O madre, ho pur visto chi m'ha generato. TEODOSIO. Voi vi discostate da me, voi mi schivate, dubitate forse che non mentisca?

Ma Sennia tien gran speranza che sien vivi, ché una zingara vedendole la mano le indovinò ch'eran vivi e ben presto tornerebbono; ed ella dice che se li sogna ogni notte che vengono.... ANASIRA. Che mi curo di saper questo io?

A che se ne accorgerá Lampridio? che quanto piú se ne beve piú ce ne resta: è forse la nostra botte della cantina che bevendo vien meno? E se ben si scopre, che potrá farmi Sennia? potrá altro che spogliarmi questi panni che m'ha fatto ella e cacciarmi fuora? Almeno se ho da mostrar le carni nude, le mostrerò grasse e liscie.

SQUADRA. Vo' che tu, vecchio, fingi chiamarti Teodosio, e tu, giovane, Eugenio e che sii suo figlio; e vo' che diciate che siate or ora scampati di man di turchi, e che abbiate rotto la prigionia e siate venuti a Napoli per veder se fusse viva una tua moglie chiamata Sennia e una figliuola Olimpia.... TEODOSIO. A ponto questo?

Avendo proposto morir mille volte prima che viver senza lei, la disperazione mi accecò gli occhi e l'amore mi fe' far quello che ho fatto. SENNIA. Se l'amor bastasse ad escusar gli errori, ognuno si scusarebbe con amore. Ma io, poiché vostro padre, mio marito e figlio t'han perdonato, con non esser men pietosa di loro, t'accetto per genero e mio carissimo figliuolo.

SENNIA. Non pigliar a tristo augurio, figliuol mio, ch'io pianga, ché l'allegrezza ch'io sento di tua venuta, tanto piú cara quanto men la sperava, mi fa cader le lacrime dagli occhi. LAMPRIDIO. O madre, io ancora non posso tenermi: sento il cuor liquefarsi di tenerezza. Raguagliami: è viva Beatrice mia zia di che molto si ricordava Teodosio mio padre?

LAMPRIDIO. Eccovi, madre, il bello sposo. TEODOSIO. O Sennia moglie cara, giá giá vi riconosco alle fattezze se di te non mente il vivo ritratto che n'ho sempre portato nel core; giá ti conosco alla sola vista. SENNIA. Questo altro giovane chi è? TEODOSIO. Eugenio vostro e mio figliuolo, che insieme con me fu rapito da' turchi.

GIULIO. Se tu m'avessi detto con chi, a me aresti tolto fatica di dimandare e a te di rispondere. SQUADRA. Con Olimpia figliuola di Sennia, questa nostra vicina. GIULIO. Questo è vero? SQUADRA. Piú vero del vero. SQUADRA. Non mi date piú fastidio, di grazia. GIULIO. Te ne darò mentre non mi dici quanto desidero. SQUADRA. Non vedete che sto carrico, ho fretta, ho da far molte cose e ho poco tempo?