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SQUADRA.... E accioché la cosa vada meglio ordinata, arei a caro che consertaste un poco gli atti e le parole, accioché incontrandovi con esse la cosa riesca piú verisimile e naturale. TRASILOGO. Cominciate su. Cominciate di grazia. TEODOSIO. Dunque sei pur viva, o Sennia mia consorte cara! SQUADRA. Buon principio! riesce bene, piú meglio ch'io non pensava.

BALIA.... Giá devi sapere che Sennia, la mia padrona, venti anni sono si maritò con Teodosio e di lui n'ebbe duo figli, Eugenio il maschio, Olimpia la femina.

SENNIA. Io son cosí afflitta che non posso credere a lieta novella. MASTICA. Statene sicurissima. SENNIA. Non mi far rallegrare invano, ché poi con doppio affanno mi faresti dolere. MASTICA. Sapete, padrona, che per una grandissima nuova si fa sempre grazia a' prigioni e agli appiccati.

SENNIA. Chi mi chiama? MASTICA. Chi desia vedervi contenta. SENNIA. Faccilo Iddio, ché n'ho bisogno. MASTICA. Sète voi tanto infelice? SENNIA. Che buona nuova mi rapporti? MASTICA. La dirò se posso far tanta triegua con la fame che mi lasci dire. SENNIA. Dillami su.

Perché mi parli cosí mozzo? parla col tuo malanno! LALIO. O Dio, che se lo dico, Olimpia ha giurato di volermi ammazzare. SENNIA. E se non lo dici, ti ammazzarò or ora. Quello d'Olimpia ha da venire, ma il mio sará adesso, al presente. LALIO. Io non lo dico, avertete. Quando voi mi diceste che stessi in camera, io me ne uscii per vergogna. SENNIA. Di che cosa? LALIO. Di quel che viddi.

BALIA. Egli non mai fu in Napoli; e Olimpia l'ha fatto intendere per un certo Giulio studente, amico comune, che per quanto ha cara la grazia sua, per una cosa importantissima non venghi a Napoli prima che sia avisato, accioché non fusse riconosciuto da alcuno, come dici. ANASIRA. Come Sennia non s'accorgerá che questo non è suo figlio?

TRASILOGO.... Tagliarò Sennia per mezo; Olimpia la prenderò per lo collo e senza toccar terra la porterò prigione in casa mia; a Mastica ficcherò un spiedo per sotto che gli lo farò uscir per la bocca; a questo romano spezzarò su la schena dieci fasci di bastoni, lo difenderan dalle mie mani cento muraglie o bastioni.... SQUADRA. Bene!

LAMPRIDIO. Come non si può volere quel che si vuole? pure se non si può come si vuole, faccisi come si può. MASTICA. Queste parole mi danno ad intendere che il tuo amore será per scoprirsi tosto; però prima che ciò avenga será bene avisar Sennia che proveda a' fatti suoi. LAMPRIDIO. Eh Mastica, tu sei troppo crudele. MASTICA. A te è una pietá esser crudele.

TEODOSIO. Consorte carissima, poiché sei giá fatta chiara ch'io sia Teodosio tuo marito che un tempo amasti con tanta fede e amore, se per l'altrui inganni mi scacciasti da te, dammi ora licenza che ti possa ricevere in queste braccia. SENNIA. O Dio santo e benedetto, chi è piú contenta di me in questa vita?

SENNIA. Ditemi, quando vi sète riscattati? TEODOSIO. Avendomo inviato molte lettere per lo riscatto, ha voluto la nostra disgrazia che di niuna ne abbiamo ricevuto risposta; cosí abbiam rotta la prigionia e siamo scampati. LAMPRIDIO. Voi dovete esser usi a star in prigione; non deve esser questa la prima volta che l'avete rotta. SENNIA. Come sète venuti a Napoli?