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Compagni al mio ritorno erano sul ponte il signor B..., il quale, allo spettacolo di quelle genti meste che ci salutavano dal lido, mi ripetea il verso di Virgilio: «Exoritur procurva ingens per litora fletus: i figli del barone e parecchi giovani patrioti i quali mi vezzeggiavano affinchè li presentassi a Garibaldi. Di repente il battello s'arrestò per frattura nella macchina. Piccolissimo, stravecchio e senza

E loro, passeggiando, con dei cenni rapidi, con degli inchini che nessuno, all'infuori di noi, poteva avvertire, con dei palpeggiamenti di berretta che parevan grattamenti di capo, con dei rovesci d'occhi che mi andavano al cuore, o dei movimenti di labbra che sfuggivano alla sorveglianza, ci salutavano, ci davano il buon giorno e la buona sera, ci infondevano coraggio e ci traducevano la loro impotenza a fare qualche cosa per noi.

Tutte quelle povere genti, passando di presso al muro del giardino, salutavano umilmente il borghese che vi passeggiava, con un: Sia lodato Gesù e Maria! Ma quel borghese, distratto, il mento affondato nel petto, non rispondeva al loro saluto.

Quando imbruniva, profittavano del breve momento in cui non era tanto buio da accendere il lume, per cenare con pane e noci, o pane e frutta fresca, a seconda della stagione. Poi accendevano una lampadetta ad olio, e tornavano a lavorare fino alle nove. Dacchè erano venute ad abitare di contro, la sera la passavano spessissimo da noi. Ma sempre lavorando. In casa loro, il balcone aperto era l'unico distintivo dell'estate; il caldanino ai piedi era l'unico distintivo dell'inverno. Il fuoco non era mai acceso nel camino fuorchè quando s'aveva a preparare il pranzo. Stufe non ce n'erano. I caldanini erano fatti colla carbonella e duravano tutto il giorno; e dovevano prepararli in quelle ore mattutine che non mi riescì mai di sorprendere, quando nessuno, tranne le due zitellone, era fuori dal letto. Da venti, da trenta, da quarant'anni facevano sempre quella vita, tutti i giorni eguale, meschina, arida, senza un bene, strascicando una salute sciupata in una sequela di privazioni. All'estate l'aria era cattiva. Tutti s'andava in campagna; Novara rimaneva deserta. Le due sorelle s'affacciavano al balcone per vederci salire in carrozza, colle valigie, la mattina della partenza; ci salutavano colla mano, e prima che la carrozza avesse voltata la cantonata, erano ancora sedute ai loro posti, coi loro lavori. Passavano per noi tre mesi di gite, di vendemmie, di merende, di balli campestri, di recite di beneficenza, di spassi d'ogni maniera; ed alla fine di novembre, arrivando in citt

Mentre m'abbandonavo a questi pensieri, sentii tutt'a un tratto che tutti s'alzavano e salutavano. M'avvicinai anch'io a Vittor Hugo, gli presi la destra con tutt'e due le mani.... e non potei dire una parola. Ma egli mi guardò e mi comprese, e disse, stringendomi la mano, e fissandomi con uno sguardo sorridente e un po' triste: Addio, caro signore. Poi soggiunse: No, addio.

Le due giovani si baciarono ancora una volta sulle gote e si sciolsero senza poter pronunciare altre parole. Flora entrò nella lancetta che si distaccò lentamente dalla riva, mentre nuovi auguri e nuovi evviva salutavano i due sposi. L'ottobre a un tratto si volse al piovoso, e, come accade spesso, la stagione precipitò verso l'inverno con giornate tristi e agitate da freddi venti di nord.

Infatti alcuni birri eran comparsi sulla soglia della porta, e dietro ad essi subito uscì fuori Nello pallido, esterrefatto, atterrito dinanzi a quella folla, coi capelli irti sulla fronte, sulla quale gli scendeva a grosse goccie il sudore. I mercatini lo salutavano con esclamazioni bestiali, gli mostravano i pugni, rompendo in motti di scherno.

Udì che gli uomini, recato l'ultimo baule, salutavano e uscivano ringraziando. Si tolse dalla finestra, e disse a Filippo, con voce un po' debole: , è giusto. Devi andare. Quella stessa mattina, il conte Roberto, arrivato a Fasano in carrozza, spedì subito un telegramma a sua cognata. Il telegramma, alla forma del quale aveva pensato durante tutto il viaggio, diceva: «Non ho visto nessuno.

Tornammo subito indietro per annunziare la grata novella; quale non fu la nostra maraviglia, quando, fatti pochi passi dal campo, incontrammo delle signore che si erano spinte arditamente fino lassù; signore che infangavano nelle pozzanghere i loro stivaletti aristocratici e che ci salutavano sventolando i fazzoletti, sorridendoci con un'angelica grazia.

L'aspetto poco confortante del salone mi rese curioso di vedere la camera. La signora ne aprì la porta: era abitabile ed aveva un buon letto romano. Comparve il fratello della signora, un bell'uomo, cacciatore accanito dei boschi sabini; indossava la divisa di capitano della guardia nazionale. Fui invitato in modo assai cortese a fare quello che più mi piaceva, in piena confidenza; ed io accettai le loro offerte, alla condizione che mi permettessero di fare i miei pasti presso l'ospite primitivo, al quale ero stato indirizzato da Terni, al che essi gentilmente acconsentirono. Passai in Aspra due piacevoli giornate, nonostante l'orribile impressione ricevuta sulle prime. Lavorai nel piccolo archivio dal mattino alle cinque della sera, ciò che suscitò in tutti una straordinaria meraviglia. Andavano e venivano intorno a me dei curiosi; mi salutavano amichevolmente, ma con stupore, non avendo visto da molti anni un forestiero. Io mostrai al segretario una preziosa pergamena del tribuno Cola di Rienzo, diretta alla comunit