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Aggiornato: 20 maggio 2025
RUFINO. Io me ne sono maravigliato, ché sogliano questi mercanti essere sufistichi, schizzinosi, ch'a pena si fidono di loro stessi nel conto del danaio. CURZIO. Acceleramo i passi; andiamone in casa, acciò ch'io me possa mettere in ordine per ritrovarmi stanotte con la mia Livia. RUFINO. Eh! patrone, perdonatemi. Se voi ve fossete guidato per mio conseglio, buon per voi! CURZIO. Come!
Un giorno, aprendo all'improvviso la porta di un salotto, ove credevo di ritrovarmi sola, vidi mio padre presso una finestra, che parlava con Marco Alboni, il quale lo minacciava, tenendogli un pugno su una tempia.... E udii pronunziare il mio nome. Adolfo era diventato pensoso. Ti assicuro, ripigliava Diana, tremando, c'è qui un'infernale congrega contro di me.
CAPITANO. Meglio per loro; ché non avea pelo indosso che non gridasse carne e sangue, ché giá di farne un scamazzo di loro l'ira m'era salita insino al naso. DULONE. Su, che badiamo? ERASTO. Tacete, vo' far il segno alla balia: fis, fis. CAPITANO. Questa non è la casa di Amasia. ERASTO. È di Cintio, che per un tragetto che abbiam fatto tra l'una casa e l'altra viene a ritrovarmi: fis, fis.
Bandino. Ah, mi pareva d’averti perduta, e ti ritrovo! Mortella. Devi ritrovarmi. Non dubitarne. Sii certo che ti attendo. Bandino. Dove? Mortella. Non posso dirtelo ancóra. Se tu lo sapessi, forse correresti prima di me. E bisogna che io ti risparmii. Bandino. Sorella, povera sorella, perché ti smarrisci? Mortella. Credi che vaneggio?
Bisogna però dire che Adele avesse qualche ragione di ammirarmi. In salotto tutti mi guardavano; feci furore; come dice zia Marta. Furore o no, a dirti il vero, io mi sono divertita pochino; e tutte le volte che potevo senza dare nell'occhio, guizzare dai salotti in giardino, lo facevo volentieri, per gustare un momento di solitudine, per ritrovarmi con me stessa.
ORGIO. Mi doglio ritrovarmi qui nella strada publica, che non vorrei far i vicini consapevoli de fatti miei, ché per risposta ti vorrei far cader questi pochi denti che ti sono restati in bocca, e trarti quei pochi capelli che ti ha lasciati il mal francese; ma faremo i nostri conti in casa, quando manco ci pensarai. BALIA. In casa vostra non entrerò piú mai, poiché in tal stima ci son tenuta.
Ma s'apre la porta e veggio il parasito che viene per ritrovarmi: perdonatemi. LECCARDO. Entrate, signora, in questa camera qui vicino. CHIARETTA. T'obedisco. LECCARDO. Serratevi dentro e aspettatemi un pochetto. Capitano, sète voi? MARTEBELLONIO. Pezzo d'asino, non mi conosci?
Ma dove state? Cosa fate?» Dove sto? Sto in questa vile strada nel quartiere dei negri. E cosa faccio? Muoio di fame. Mamma! mamma! mamma! ma questo è un sogno che faccio, non è vero? Uno stolto, incredibile sogno, da cui mi sveglierò ridendo, per ritrovarmi vicino a te. Vorrei svegliarmi ancora bambina in Inghilterra, nella Casa Grigia... C'era la nonna, vero? non me la ricordo, ma so che c'era.
E un mese di poi, era ancora lui che, venuto a Milano, e passato apposta a ritrovarmi, mi diceva, ben me 'l ricordo: Ho speranza di farvi saper qualche cosa del vostro infelice orfanello; ho raccolte le più piccole circostanze, che mi danno non so quale conghiettura più fondata di ciò che avvenne di lui; ve ne scriverò al più presto.
Ho letto e riletto non so quante volte la poesia mi diss'ella all'indomani ed è una cosa strana ciò che provo. La forma mi pare un poco meno viva che negli altri tuoi versi, ma mi compiaccio assai più di ritrovarmi in questi che in quelli. Osservai che ciò avveniva per il loro concetto.
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