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La storia che raccontiamo è l'eterna storia dell'amore nell'eterno paese della poesia; non mettiamo date all'eternit

Io non mi posso astenere dal riportare qui un frammento della Storia della Scultura del Conte CICOGNARA, sia perchè in se stesso merita considerazione, sia perchè si versi appunto intorno alle arti dei tempi, nei quali successero i casi che noi raccontiamo: «La storia di queste arti presenta un convincimento di tale verit

Trent'anni prima dell'epoca a cui siamo coi fatti che raccontiamo, chi avesse voluto tener conto della condizione di Milano, anche dopo avere assistito alle poderose forze del commercio di Genova, di Pisa, di Livorno, di Venezia, alla grandezza cui eran salite le arti a Firenze, a Ferrara, e le scienze a Bologna, a Padova, sarebbe rimasto tuttavia maravigliato, contemplando la floridissima condizione del Milanese.

Nel così detto Album di certa Marchesa Pallavicini di Genova io lessi scritto dalla mano della Marchesa du Devant, conosciuta nel mondo letterario col nome di Giorgio Sand, questo concetto: «Fumo di gloria non vale fumo di pipaLe pipe ed il tabacco, nei tempi della storia che raccontiamo, erano diventati assai comuni.

È necessario, per capire ciò che raccontiamo, farsi un'idea del carattere e della vita poco felice che aveva condotto Guglielmo. La sua era di quelle nature stanche e indolenti che non vogliono lottare; non tentò nemmeno di reagire contro alla sfortuna che lo lasciava nell'isolamento e metteva il suo ingegno nell'ombra. Si rassegnò mestamente alla povert

La villa di cui raccontiamo la storia, ch'è quasi una leggenda, era situata in un punto che non vogliamo troppo determinare, non lontano da Tivoli; e mentre era stata altre volte sontuosissima e splendidamente abitata, lasciata ora quasi nell'abbandono e dimora soltanto d'un vecchio domestico, aveva precisamente subìto una di codeste trasformazioni. Anticamente i principi d'Ostellio che n'erano padroni, vi conducevano la splendida vita delle villeggiature romane e vi tenevano, come suol dirsi, casa aperta; ma ora da due generazioni avevano smesso d'andarvi. Il penultimo proprietario aveva sempre vissuto fuori d'Italia, scorrendo l'Europa per missioni diplomatiche ed era morto lontano e dimentico affatto della sua villa, che gi

Questi fatti che raccontiamo sono, senza dubbio, ingratissimi ad udirsi, come quasi impossibili ad esser creduti, quando si pensa che molti de' gentiluomini che popolavano quelle sale appartenevano a quel glorioso ceppo di cavalieri milanesi e lombardi che non molti anni prima, al tempo di Francesco I e Galeazzo Sforza, mandati in Francia ad aiutar re Luigi, più che uomini erano stimati; quando si pensa che fra tutti coloro c'era ingegno, senno, coraggio, e tutto quel bel complesso di cose, che mai non manca nel tessuto della stoffa italiana, a così esprimerci! ma avendo in odio il dominio sforzesco, e convinti, che allo spargersi dei gigli fosse per piover manna sulle belle contrade di Lombardia, s'acconciavano a sopportare qualunque insulto fosse lor venuto dalla Francia; eran corpi, altra volta poderosi di gioventù e di bellezza, afflitti di presente da un momentaneo contagio, che violentava ogni loro virtù, e faceva che il loro senno naturale cedesse sopraffatto da' torti giudizj e della cieca passione.

E qui mastro Spinello....Ma via, non precipitiamo nulla, raccontiamo le cose per filo e per segno, non mettiamo il carro avanti ai buoi.

Ma questo sono notizie che importano poco al soggetto. Passiamo, dunque, senza fermarci troppo sull'architettura di mastro Jacopo, e raccontiamo ai lettori che da molti anni il degno artefice aveva messo su famiglia, e viveva felice, come può esserlo un uomo in questa valle di lagrime, che non è tutta una Val di Chiana, pur troppo.

Gran gente, quei conti di Lavagna! Disputata un pezzo al Comune di Genova la terra onde traevano il titolo maggiore e più caro, vedutosi fabbricare all'incontro, nel 1167, il castello di Chiavari, indi a trentun anno cedevano quel feudo invidiato, diventando nobili genovesi, e ben presto una delle quattro grandi famiglie potenti e prepotenti della Repubblica. Ricchi di capitani e d'ammiragli, come di cardinali e di papi, ora ripigliavano le terre perdute, ora altre ne acquistavano, a ristorarsi dei danni. Al tempo di cui raccontiamo, erano gi