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Aggiornato: 16 settembre 2025
Si sciolsero lentamente. Egli andò a sedersi sopra una poltrona, in silenzio, ella ratteneva con un delirante sforzo di volont
No... no... andate via... andate via. Mi perdonate? balbettò l'altro con un fil di voce mi perdonate?... e, come foste mia sorella, vorreste essere anche... un poco... mia madre?... Maria sentì un brivido, una stretta al cuore che la fece balzar di scatto, per ricadere come morta, livida, sulla poltrona. Buon per lei ch'era scuro l
Ella era distesa in una poltrona, tenendo le mani bianche posate lungo i bracciuoli; e la sua attitudine mi ricordò un'altra attitudine: quella della convalescente nel mattino della levata ma dopo l'annunzio. Fu decisa la partenza. Ci preparammo. Una speranza luceva nel profondo della mia anima, e io non osavo mirarla. Il primo ricordo è questo.
Il conte Fabiano stava seduto, nella camera da letto, in una larga poltrona, innanzi alla tavola su cui si vedevano ancora il vassoio con le chicchere, il piattino del burro e il vaso del miele. Si accarezzava nervosamente la barba brizzolata e fumava una sigaretta. Oh, caro Alemanni! esclamò sarcasticamente alla vista del notaio. Siamo alle solite.
Conducimi tu alla poltrona, Tullio ella diceva. Sostenendola col mio braccio alle reni, io la condussi piano piano; l'aiutai ad adagiarsi; disposi su la spalliera i cuscini di piume, e mi ricordo che scelsi quello di tono più squisito perché ella vi appoggiasse la testa.
La contessa Ginevra, seduta sopra una larga poltrona di vimini, si era tirata Bice vicino, il dottore venne a porsi dietro di loro. Sedete dunque anche voi, professore, si rivolse scherzosamente la contessa a De Nittis.
Vado, signora, vado; ma ditemi ancora... io vi accompagnerò a casa! me ne tornerò senza un conforto nel mio solitario quartierino da scapolo.... E quei due che mi sanno ammogliato... che lo andranno a ridire.... È vero! esclamò la sconosciuta, lasciando cadere la sua testolina leggiadra contro la spalliera della poltrona. Non ci avevo pensato!
Non so quanto tempo durasse. Quando mi svegliai ero nella mia camera, sulla stessa poltrona. Accanto a me era seduta la vecchia serva del babbo. E sulle mie ginocchia un pezzo di carta su cui era scritto a matita: «Coraggio, Fulvia. Non ha voluto che lo vedeste morire; non vuole che lo vediate più.
Geltrude augurò la buona notte ed uscì. L'astuta cameriera, un tipo segaligno di giovane trentenne, conoscendo, i nostri usi dei migliori tempi, aveva spinto vicino al letto una poltrona, in cui mi sedevo abitualmente a chiacchierare con Lidia. Allontanai la poltrona, osservando che sul tavolino da notte stava un romanzo francese, pel quale Lidia non si sentiva poco bene.
Entrai ardito e solo in quella camera, in quel santuario, dove il mio amore aveva bamboleggiato come un fanciullo, sognato come un poeta, sperato come un credente, sofferto come un martire. Mi stesi nella poltrona di Fulvia, e volli adattare la mia persona in quella specie di nicchia che serbava l'impronta della sua.
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