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Aggiornato: 2 ottobre 2025
PEDANTE. Se fussimo al tempo di Pittagora, che diceva che morendo uno l'anima di quello transmigrava in un altro, io direi che costui fusse morto e l'anima sua passata nel tuo corpo; ma questi è vivo. LIMOFORO. O tu sei me o io son te. PSEUDONIMO. Io son quello che fui sempre, né fui mai te. LIMOFORO. Quanto voi avete detto di voi, tutto è impossibile.
GIACOCO. Siente, ca vo fare collazione. Vorrisse doie ióiole o doi scioscelle? PEDANTE. O che parlare absurdo e mal composto! GIACOCO. Mò vole no poco de composta de cetruli. PEDANTE. O che supina ignoranza, che intelletto rude e agreste! GIACOCO. Non te l'aggio ditto ca vole composta d'agresta? PEDANTE. Dii immortales, ubique sunt angustiae! GIACOCO. È lo vero ca a Vico so ragoste.
CAPPIO. Lassa faghe a mi: provi cheste pottagie falsamico, scippacapelli e moscatelli. PEDANTE. Refiuto questi nomi infandi e nefandi di «scippacapelli» e «falsamico».
GIACOMINO. Che cose ponno essere maggior di queste? CAPPIO. Che dormirete insieme questa notte. GIACOMINO. Eh, Cappio mio, parla presto, ché tu mi strangoli piú che non farebbe un cappio di manigoldo. CAPPIO. Per dirtela in breve, il pedante va in Roma, ed ha mandato Lardone innanzi, al Cerriglio, a preparargli l'albergo, ché vien con Lima ed Altilia.
San Marco!» e a Siena: «Lupa! Lupa!», cosí qui esclamano: «Trivella! Trivella!». STRAGUALCIA. Io vorrei piú tosto che noi gridassemo: «Padella! Padella!». FABRIZIO. Quella la conosco. È l'arme del duca. STRAGUALCIA. Maestro, vorrei che voi portasse un poco questa valigia, voi. Io ho sí secche le labbra ch'io non posso parlare. PEDANTE. Orsú, che ti cavarai la sete poi!
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