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Aggiornato: 5 giugno 2025


PANDOLFO. Sappiamo bene il valore vostro: che sforzate i cieli a fare a vostro modo. Ecco colui che vuole transformarsi. ALBUMAZZAR. Di buona indole. VIGNAROLO. Padron mio, nulla mi duole. ALBUMAZZAR. Di questo date grazia al Fattore del cielo, delle stelle, influssi planetari celestiali, che t'ha fatto uomo, che per forza del suo intelletto va penetrando i suoi secreti naturali.

Scusate, padron mio riverito; rispose il Maso, facendo faccia tosta; ero prigione, ma non gi

DULONE. Padron, state in cervello, ché sta armato di giacco: perciò ha tanto ardire. CINTIA. Vedete se ho soverchiaria con voi: ecco il fianco nudo. ERASTO. Va' va', ché ci vedremo. CINTIA. Finiamola ora. ERASTO. Ci troveremo bene in altro luogo. CINTIA. Dove, quando e come volete! ERASTO. Son desto o dormo, son vivo o morto? Che novitá son queste che veggio o che ingannano gli occhi miei?

Padron mio, ripigliò Omar, col medesimo tono beffardo. Non tentate di fare resistenza se non volete che il mio amico Abù vi scarichi la sua pistola in faccia. State cheto e rispondete alle nostre domande. Se speri che io parli, t'inganni di molto, Omar, rispose Notis col tono calmo d'un uomo che nulla teme. In tal caso ricorreremo agli estremi espedienti.

Andrò al padron giovane a dirli quanto si è oprato in suo serviggio. BALIA. Sulpizia smania e non trova luogo per la gelosia di Cleria; mi manda se può saper da Erotico alcuna cosa di nuovo. EROTICO. O balia, di' a Sulpizia mia, che trattiamo or cosa onde spero che sarem nostri. BALIA. Parlatemi, di grazia, piú particolarmente, e liberatela da tal passione.

PANFAGO. Mi contento di quello che voi vi contentate di darmi, cosí il mio padrone desia la vostra amicizia. MANGONE. Eccovi quindici scudi; in casa vi darò gli altri: potrete annoverargli. PANFAGO. Credo alla vostra parola. MANGONE. Come si chiama lo schiavo? PANFAGO. Amore, padron caro. MANGONE. Di che paese? PANFAGO. Di Donnazapi, della provincia di Rabasco. MANGONE. Che nome voi mi dite?

MASTICA. Ecco questo che mangia pan di ferro, insalate di chiodi, minestre di corazze, beve piombi e li caca acciaio. TRASILOGO. Mastica, Mastica! MASTICA. Padron mio, padron mio! TRASILOGO. Sai che ti dico?... MASTICA. Non, se nol dite prima. TRASILOGO.... il meglio che tu possi fare,... MASTICA. Che cosa? TRASILOGO.... che compri un capestro... MASTICA. A che effetto?

Almeno l'avessi saputo un anno prima, ché a poco a poco mi avessi avezzo a disamarla. PANURGO servo, ESSANDRO. PANURGO. Veggio Essandro di mala voglia. Padron caro, che cosa avete? ESSANDRO. Oimè, son morto! PANURGO. Cattivo principio! cada questo augurio sovra chi ci vuol male. ESSANDRO. È pur caduto sovra di me, ché non è misero stato col quale non cambiassi il mio.

T'ho aspettato in su questo uscio piú d'una mezza ora, per veder se tu ci passavi; ché 'l mio padrone non era in casa e aremmo avuto tempo di stare insieme un pezzo. GIGLIO. Rencrescime, per Dios, che ho tenuto que fazer. Mas entriamo. PASQUELLA. Ho paura che 'l padron non torni, ché ha un pezzo che andò fuora. Ma tu ti debbi esser scordata la corona, eh? GIGLIO. Non, madonna; que á qui sta.

PEDANTE. , è. STRAGUALCIA. O padron magnifico, a tempo veniste per pagar l'oste. Ben gionto. PEDANTE. Costui è stato un buon servitore a vostro figliuolo. STRAGUALCIA. Volete forse dir ch'io non gli son piú? PEDANTE. No. VIRGINIO. Che tu sia benedetto, figliuol mio! Pensa ch'io ho da ristorar tutti quelli che gli han fatto buona compagnia. STRAGUALCIA. Voi mi potete ristorar con poca cosa.

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