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Aggiornato: 9 giugno 2025
Ti farei un articolo io; disse Luciano, dopo aver pensato un tratto; ma a qual pro? Col mio modo di vedere in materia d'arte, ti farei più male che bene. Del resto, consolati; Omero diventò famoso nel mondo senza le trombe dei giornalisti. .
Ora, a quanto mi si è detto, i monaci sono stati messi a magro regime; ma visitando la bella cucina, dalla volta profonda, un odore gradevole di grasso, degno di Omero, mi ha colpito le narici e non mi è parso esattamente secondo la regola pitagorica di S. Benedetto, proibente l'uso della carne.
Chi fia di sí folle sentimento, che creda che Platone volesse che Omero fosse cacciato della cittá, il quale è dalle leggi chiamato «padre d'ogni virtú»? chi Solone, che nello estremo de' suoi dí, ogni altro studio lasciato, ferventissimamente studiava in poesia?
Terribile cosa, caro Ojetti! E pensare che Omero e Dante e lo Shakespeare non sapevano niente di realismo e d'idealismo e d'altri consimili ismi! E intanto han messo al mondo quelle cosettine che si chiamano Iliade, Odissea, Commedia, Otello, Amleto, Re Lear!
«Amen, bel Cavaliere.» Sebbene i nostri eroi non sieno affamati quanto quelli di Omero¹ per doverli, come egli ha fatto, mettere tre volte a cena in una stessa sera, nondimeno, od ora o poi, convien pure che ce li poniamo. Ghino, imbandita la mensa, porse da lavarsi a Rogiero, ed egli ancora data acqua alle mani gli si assise di faccia.
Se io non mi sono ingannato in tale congettura, si spiega forse meglio come, pubblicando i Sepolcri a Brescia nell'anno 1807, il Foscolo provasse una certa maliziosa compiacenza nel citare, per segno d'onore, in una nota i versi del Manzoni, relativi ad Omero libero, che non adulava i potenti, ad Omero, di cui il Monti e il Foscolo rivali traducevano allora l'Iliade, I versi citati sono questi per l'appunto: Non ombra di possente amico, nè lodator comprati avea quel sommo D'occhi cieco e divin raggio di mente Che per la Grecia mendicò cantando.
Qual gregge, con un lento digradare scendon li olivi a le ricurve prode; in su 'l meriggio la pia selva gode le chiome ne la queta onda specchiare. Son paghi, o amico, i voti miei. Conviene Omero ne' giocondi ozi: non cede pur la sua voce a 'l grande equoreo coro. Quale il Sole per l'alte aure serene, fulgido, lungo i liti Achille incede ne la lorica tutta quanta d'oro.
Un poeta a considerare quel pianto sotto quelle ciglia irsute scendere per un viso adusto e di dure sembianze, quale era quello di Ghino, avrebbe súbito trascorso col pensiero ai versi di Omero, nei quali egli paragona il pianto di Agamennone «.......... a cupo fonte, Che tenebrosi da scoscesa rupe Versa i suoi rivi........... ¹» ¹ Iliade, Libro 9.
L'Ariosto studiò Omero, ma volle a bella posta riescir diverso affatto da Omero.
Poi che la voce fu restata e queta, vidi quattro grand’ ombre a noi venire: sembianz’ avevan né trista né lieta. Lo buon maestro cominciò a dire: «Mira colui con quella spada in mano, che vien dinanzi ai tre sì come sire: quelli è Omero poeta sovrano; l’altro è Orazio satiro che vene; Ovidio è ’l terzo, e l’ultimo Lucano.
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