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ed io ti direi le gioiose parole che tutte bisbigliano le madri ai bambini, cogliendoti a fasci le rose. Ma tu non volesti. Il vagito tuo primo, o mia bimba, fu l’ultimo: suggella i tuoi labbri il silenzio: eterno, infinito. Schiudesti sul mondo l’ignara pupilla, o mia bimba, un sol attimo: che vide?...

Vannucci (alzandosi) Il mio vero orologio è il sole. Vedete: l’ultimo raggio ha gi

Sono donne che, presso il capezzale De lo sposo o del figlio, Vider lenta calar l’ora mortale De l’ultimo periglio: E davanti a lo spirto che salìa Con maestoso volo, Si contorser ne l’orrida agonia Del cor rimasto solo: E il sogno ormai di non terreno loco Han ne lo sguardo assorto: Le avvelena in silenzio, a poco a poco, La nostalgia d’un morto.

E l’ultimo rifugio eri tu, Maria Maddalena. In questa vita rossa e calda come il succo delle rosse melagrane, tu eri la via dell’altra sponda, il passaggio all’altra fedelt

Gervasio rimasto fra gli ultimi sulla breccia fu ferito alla mano destra e Stefano ebbe una gamba traforata da una palla; e passarono gli ultimi tempi dell’assedio all’ambulanza. Finito l’ultimo pane nero, e l’ultima carica di cannone, Venezia dovette cedere senza esser vinta. Al momento della capitolazione i due fratelli erano ancora convalescenti.

Silvio e Maria riconobbero che quel testamento era l’ultimo atto di probit

Se Giove stanchi ’l suo fabbro da cui crucciato prese la folgore aguta onde l’ultimo percosso fui; o s’elli stanchi li altri a muta a muta in Mongibello a la focina negra, chiamando

Io non osava scender de la strada per andar par di lui; ma ’l capo chino tenea com’ uom che reverente vada. El cominciò: «Qual fortuna o destino anzi l’ultimo qua giù ti mena? e chi è questi che mostra ’l cammino?». «L

Dal primo giorno ch’i’ vidi il suo viso in questa vita, infino a questa vista, non m’è il seguire al mio cantar preciso; ma or convien che mio seguir desista più dietro a sua bellezza, poetando, come a l’ultimo suo ciascuno artista. Cotal qual io lascio a maggior bando che quel de la mia tuba, che deduce l’ardüa sua matera terminando,

Ma se la Tarabotti era monaca, l’Aprosio era frate, e come tale sentiva imperioso il bisogno di non darsi per vinto; ond’è che rivedendo a mano a mano le bozze le quali la Tarabotti mandava a correggere al Pighetti, gongolando e zitto zitto egli preparava una difesa del Buoninsegni che abbattesse l’oltracotanza della suora. Compose, consapevole il Pighetti, La maschera scoperta; ma presto dovette apprendere per essa che se il resistere alle donne è impresa difficile, è tempo perduto prendersela con le monache. La maschera scoperta, quando fu sbrigata dal revisore per il Sant’Uffizio, passò a Luigi Quirini, segretario dello studio di Padova; e questi, prima di dar l’ultimo permesso di pubblicazione, la diede a leggere a quella buona lana del frate Girolamo Brusoni, allora in carcere per colpa di apostasia: il Brusoni si distrasse solo con la lettura del manoscritto, ma ne prese copia, e uscito di prigione pochi dopo, corse a cederla, o, se è vero quel che dice l’Aprosio, a venderla alla Tarabotti,