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Aggiornato: 4 giugno 2025


Apparso è il delfino; tempesta fia. Voglio un poco starmi cosí da parte e udire quel che ragionano. POLINICO precettore, LIDIO padrone, FESSENIO servo. POLINICO. Per certo, non mi saria mai caduto ne l'animo, Lidio, che tu a questo venissi; che, drieto andando a vani innamoramenti, sprezzatore de ogni virtú sei diventato. Ma di tutto do causa a quella bona creatura di Fessenio.

E vedi anco , col forzieri, el facchino; el quale si pensa portare preziosa mercanzia e non sa che ella è la piú vile che in questa terra sia. Nessuno vuol le veste? no? Addio, dunque, spettatori. Andrò a congiungere il castron con la troia. Restate in pace. MERETRICE, FESSENIO, FACCHINO, SBIRRI di dogana, CALANDRO. MERETRICE. Eccomi, Fessenio. Andianne.

POLINICO. Egli è meglio perdere dicendo il vero che vincere con le bugie. FESSENIO. El vero dico io come tu. Ma non son giá un messer tutto-biasma come sei tu; che, per quattro cuius che tu hai, savio esser ti pare che credi che ogni altro, da te in fuora, sia una bestia.

crediate però che, per negromanzia, presto da Roma venghino qui; per ciò che la terra che vedete qui è Roma. La quale giá esser soleva ampia, spaziosa, grande che, trionfando, molte cittá e paesi e fiumi largamente in se stessa riceveva; ed ora è piccola diventata che, come vedete, agiatamente cape nella cittá vostra. Cosí va il mondo. FESSENIO solo.

Non sappiam noi che le donne sono degne che oggi non è alcuno che non le vadi imitando e che volentieri, con l'animo e col corpo, femina non diventi? POLINICO. Altra risposta non voglio darvi. FESSENIO. Altro in contrario dir non sai.

E non è maggior dolcezza che acquistare quel che si desidera in amore, senza il quale non è cosa alcuna perfetta virtuosa gentile. FESSENIO. Non si può dir meglio. POLINICO. Non è maggior vizio in un servo che l'adulazione. E tu lui ascolti? Lidio mio, attendi a me. FESSENIO. che gli è delicata robba!

FESSENIO. Maraviglia non è che tu ignorantemente mi dismentichi, se anche smemoratamente te stesso non conosci. FANNIO. Parlali dolcemente. LIDIO femina. Io me stesso non conosco? FESSENIO. Messer... volsi dir, madonna, non. Se tu te riconoscessi, me ancor conosceresti. LIDIO femina. Io ben mi conosco. Chi tu te sia non ritruovo giá.

Il che, quando mai si risapessi, credo che io ne sarò da molti piú reputato; per ciò che come in una donna è grandissimo senno il guardarsi da l'amore di maggior omo che ella non è, cosí è gran valore nelli omini di amare donne di piú alto lignaggio che essi non sono. FESSENIO. Oh bella risposta! POLINICO. Questi son termini insegnatili da quel tristo di Fessenio per metterlo .

POLINICO. Deh! deh! Orsú! Non voglio con un servo... LIDIO. Orsú! Fessenio, non piú. FESSENIO. Non minacciare: ché, benché io sia vil servo, anco la mosca ha la sua collora; e non è picciol pelo che non abbi l'ombra sua, intendi? LIDIO. Taci, Fessenio. POLINICO. Lassami seguire con Lidio, se ti piace. FESSENIO. E del buon per la pace. POLINICO. Ascolta, Lidio.

FULVIA. Ben ricordi. El gran disio d'esser con Lidio in modo mi accecò che piú oltre non pensai. Ma dimmi, Fessenio caro: hai trovato Lidio mio? FESSENIO. Corre il sangue ov'è la percossa. Ho. FULVIA. ? FESSENIO. . FULVIA. Be', Fessenio mio: che dice? Dimmi. FESSENIO. Non partirá cosí presto. FULVIA. Doh Dio! Quando potrò io parlar seco?

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