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Aggiornato: 4 giugno 2025
SBIRRI. O perché? FESSENIO. Saremmo da ognuno scacciati. SBIRRI. La cagione? FESSENIO. È morto di peste. SBIRRI. Di peste? Oimè! Io che l'ho tócco! FESSENIO. Tuo danno. SBIRRI. E dove il portate? FESSENIO. A sotterrarlo in qualche fossa; o, cosí, il forziero e lui butteremo in un fiume. CALANDRO. Ohu! ehu! ohu! Ad annegarmi, eh? Io non son morto, no, ribaldi! FESSENIO. Oh!
Ognun si fugge per paura. O Sofilla! facchino! O Sofilla! facchino! Sí! Va', giungeli tu! El diavol non gli faria voltare in qua. Va', poi, impacciati con pazzi, tu! Va'! CALANDRO. Ah poltron Fessenio! Mi volevi annegare, eh? FESSENIO. Eimè! Eh! padron, perché mi vuo' battere? CALANDRO. Domandi perché, tristo, ah? FESSENIO. Sí. Perché? CALANDRO. Il meriti, sciagurato ribaldo!
Ma fa' pur che io abbi in braccio Santilla mia. FESSENIO. Lassa fare a me. Voglio ire ad ultimare in un tratto la cosa. CALANDRO. Cosí fa'. Ma presto. FESSENIO. Non ho se none andar lá; da qua ad un poco, tornerò a te con la conclusione. RUFFO solo. Non deve l'omo mai disperarsi perché spesso vengano le venture quando altri non l'aspetta. Costei, come io pensai, crede che io abbi uno spirito.
Oh che maladetta sia tanta smemorataggine e si poca pazienzia! Ma, potta del cielo, non ti dissi pure ora che tu non dovevi gridare? Hai guasto lo 'ncanto. CALANDRO. El braccio hai tu guasto a me. FESSENIO. Non ti puoi piú scommetter, sai? CALANDRO. Come farò, dunque? FESSENIO. Torrò, in fine, forziero sí grande che vi entrerai intero. CALANDRO. Oh! cosí sí.
FESSENIO. Proviamo, per ora, alla mano. Da' qua. E di' cosí: Ambracullac. CALANDRO. Anculabrac. FESSENIO. Tu hai fallito. Di' cosí: Ambracullac. CALANDRO. Alabracuc. FESSENIO. Peggio! Ambracullac. CALANDRO. Alucambrac. FESSENIO. Oimè! oimè! Or di' cosí: Am... CALANDRO. Am... FESSENIO. ... bra... CALANDRO. ... bra... FESSENIO. ... cul... CALANDRO. ... cul... FESSENIO. ... lac...
MERETRICE. Lassa pur governallo a me. FESSENIO. Fa' che, sopra tutto, tu ti ricordi, nota, di chiamarti Santilla e di tutte l'altre cose che io t'ho detto. MERETRICE. Non mancherò d'un pelo. FESSENIO. Altrimenti non aresti un baghero. MERETRICE. Tutto farò benissimo. Ma oh! oh! oh! Che voglian questi sbirri dal facchino? FESSENIO. Oimè! Salda, cheta! Ascolta. SBIRRI. Di' sú: che è qui drento?
In che luogo di casa è Lidio? SAMIA. Egli e Fulvia nella camera terrena. FESSENIO. Non ha, dirieto, la finestra bassa? SAMIA. Potria, per lí, andarsene a posta sua. FESSENIO. Non per questo ne domando io. Dimmi: sará, ora, chi impedisca ad alcuno lo ire lá drento a detta camera? SAMIA. Quasi nissuno. Tutti son corsi, al rumore, all'uscio della camera.
Guarda che vezzoso marito mi detteno li frategli miei! che mi fa venire in angoscia pure a vedello. FESSENIO servo solo. Ecco, o spettatori, le spoglie amorose.
POLINICO. Come questo vostro amore fia piú noto, oltre che in gran pericolo starai, tu sarai da tutti tenuto una bestia. FESSENIO. Pedagogo poltrone! POLINICO. Perché, chi non dileggia e non odia li vani e li leggeri? Come diventato sei tu che, forestiero, ti sei posto ad amare. E chi? Una delle piú nobil donne di questa cittá. Fuggi, dico, e' pericoli di questo amore.
Con lei fingendo andare in villa, a casa di Menicuccio te ne vieni; ove troverrai me con tutte le cose che fanno di mestiero. CALANDRO. Ben di'. Cosí farò or ora, ché la bestia sta parata. FESSENIO. Mostra. Che l'hai in ordine? CALANDRO. Ah! ah! Dico che 'l mulo, drento a l'uscio, è sellato. FESSENIO. Ah! ah! ah! Intendeva quella novella.
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