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LAMPRIDIO. Per non tenerti a bada, io son tutto quello che poco anzi costui ha detto che sei tu. EUGENIO. Voi potete chiamarvi del mio nome ed esser figlio a Teodosio, ma non potete esser me giamai. LAMPRIDIO. Mirami un poco in viso. Sta' fermo. Non vedi che diventi rosso e che cominci a tremare? EUGENIO. Vi paio io uomo da tremare se ben sto mezzo nudo?

In altri tempi le emozioni della signora Marianna si manifestavano coi movimenti convulsivi del pennacchio, adesso il pennacchio essendo scomparso, la buona donna si portò il fazzoletto agli occhi e lasciò scorrer le sue lacrime. E anche Eugenio è in lite? chiese Diana.

Gli è così che egli dipinse le sue più belle tele nel breve giro di alcuni mesi. Io non ho incontrato in altri mai così armoniosa mente legati il culto dell'arte, e il culto dell'uomo. Eugenio era un grande artista, ma, ciò che è assai più, era anche un uomo onesto. La più parte degli artisti invece ha due vite: l'una è la vita dell'arte, ed è grande; l'altra è la vita dell'uomo, ed è fango.

SENNIA. Per farti proprio tristo come dici. LALIO. O Dio, che volete che dica? SENNIA. Non t'ho lasciato con Eugenio e Olimpia nella camera? LALIO. , ma poi me ne uscii fuora. SENNIA. Perché ne uscisti? LALIO. Perché viddi.... SENNIA. Che vedesti? LALIO. Nulla. SENNIA. Prima dici che vedesti e poi dici nulla. Non posso cavarti di bocca una parola di questo fatto.

Ma egli, chinato com'era, non vide lo sguardo, e la parola giunse in quella vece al suo orecchio dolcissima e carezzevole. Perdono? di che, sig. Eugenio? di non essere venuto a vedermi? Oh, non avete bisogno di scuse; io ho inteso benissimo lo stato vostro. Sarete stato trattenuto....

TEODOSIO. Andiamo, figlio, che difesa possiamo far noi quasi nudi e disarmati? EUGENIO. Come posso patir questo torto, o padre? TEODOSIO. Ove è forza, è bisogno che ceda la ragione: ci perderemo la vita. EUGENIO. Quasi ch'io stimi vita dove si tratta d'onore. Su, andate per li fatti vostri. EUGENIO. Questi sono i fatti nostri, cercar i parenti e la casa nostra.

E vedevo il suo volto pallido, e le sue braccia candide abbandonate sopra il guanciale, e i suoi capelli disciolti, e le sue labbra di rosa, e sulle sue labbra quel sorriso e quella parola: Eugenio.... Mi sollevai sbigottito, ebete, senza quasi aver coscienza di me medesimo.

Una notte sognai che Eugenio s'era pentito ed era tornato sui suoi passi presso di me, e che io lo abbracciava con tenerezza. Cicerone in un cantuccio ci guardava sorridendo e con un lembo del suo manto si rasciugava una lagrima.

Due minuti dopo, la contessa rientrava, sola, nel salotto, e con le belle braccia incrociate si fermava davanti a Eugenio Jung. Dunque, tu mi vuoi compromettere? Ma che fo, io? Sfido! Son gi

Oh quanto mi parete piú belle del tempo passato! Che ti par, Eugenio figlio, di questa cittade? EUGENIO. Piú bella assai di quello mi avete raccontato, padre mio. Populosa cittá e piú d'ogni altra d'ameno sito e di nobilissima aria. E mi sento le carni non so come risentirsi, pensando che sia nel luogo dove sia nato.