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Aggiornato: 12 giugno 2025
DULONE. Oh che ventura, capitano, ecco Cintio, quel che tu tanto desideravi! Vorrebbe passare innanzi e non può per esser visto da voi. CAPITANO. Cintio è costui? Cintio? Per vita di Marte, altri che lui non desiava: non mi posso piú tenere che non mi lassi correre! Olá, chi sei? passa alla larga: non s'incontri meco chi vuol pace!
ERASTO. Presto alla conclusione, ché sto attaccato alla corda. DULONE.... E come la domenica passata giaceste seco tutta la notte. Ella ne restò tutta stupefatta, che, essendo Amasia tanto sua amica e intrinseca, in una cosa di tanta importanza non si fusse fidata di lei.
DULONE. Se non fate conto dell'onor di vostra sorella e d'un incontro come quel che v'ha fatto, di che voi vi risentirete? ERASTO. Andiamo andiamo. ARREOTIMO padre di Cintia, BALIA. ARREOTIMO. Ed è vero quanto mi dici? BALIA. Io v'ho narrato appuntino tutto il fatto, onde nelle mani vostre sta la morte e la vita di mia figliuola.
V'ho offesa non volendo, anzi voi stessa m'avete dato cagione che vi offendesse. In tanta allegrezza è di ragion che mi perdoniate. CINTIA. Dulone mio, io non sol ti perdono, ma ti ho caro piú di prima per duo cagioni: l'una perché sei fidele al tuo padrone, l'altra perché la fortuna s'ha voluto servir di te per istrumento della mia felicitá.
La domenica notte l'ebbi in braccio a suo e tuo dispetto: non sognava o stava in estasi, e credo piú a me stesso che a niuno. DULONE. Non dico io che non siate giaciuto con una donna e che non si l'abbiate impregnata, ma non è Amasia. ERASTO. Quella con la quale io giaccio ha il piú bel corpo che mai si sia visto, i piú gentili costumi che sieno in donna, la maggior accortezza che s'udí mai.
DULONE. Quando egli viene a casa a trovarvi, Lidia a scavezzacollo corre agli usci, alle fenestre per vederlo; si tramuta di cento colori; e se la onestá di donzella non gliel vietasse, correrebbe in mezo la strada per vederlo. ERASTO. Di questo me ne sono avveduto anch'io, lo confessa ella e l'ha fatto chiedere al padre per suo sposo; ma egli risponde che non vuol ammogliarsi.
CAPITANO. Come sai tu dunque ch'io miro te, se tu non miri me? ERASTO. Su, che vo' far questione teco. CAPITANO. Tu vòi far questione meco? ERASTO. Sí. CAPITANO. E sei deliberato cosí? ERASTO. Deliberatissimo. CAPITANO. E senza altro vòi far questione meco? ERASTO. Senz'altro. CAPITANO. Or se tu vuoi far questione, non ne vo' far io. DULONE. Padrone, datemi licenza ch'io facci questione con lui.
ERASTO. Giá deve esser la cittá tutta sepolta nel sonno e la mezanotte passata. DULONE. Ed io stimo che non sieno ancor le due ore: voi misurate l'ore col vostro desiderio. ERASTO. Il tuo orologio è zoppo e flemmatico, si muove sempre tardi. DULONE. E il vostro, spinto dal caldo dell'ardente desio, tocca assai presto: a chi aspetta non corre l'orologio.
ERASTO. Non vorrei che costui patisse alcun male, per quanto mi val la vita, perché è il piú gentil, cortese e leal amico che mai nascesse, e mi ama svisceratamente. Volea ragionargli un poco de' fatti miei, ed è partito subito. Ma non so perché tardi tanto Dulone, il mio servo, ché ho mandato in dono una collana ad Amasia. Ma lo veggio venire.
CAPITANO. Io son stato or ora ragionando con lei e col padre nella sua finestra. ERASTO. Da qual finestra? CAPITANO. Da quella che risponde sul vicolo. E ha riso e scherzato meco. DULONE. Ascoltate, padrone, che ha pur detto il vero senza che glielo dimandaste. ERASTO. A te fece tanti favori dianzi suo padre? CAPITANO. Il padre tiene a molto favore darlami per isposa ad ogni mia richiesta.
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