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DULONE. Usate l'ingegno o la forza. ERASTO. Non vorrei turbarla o farle dispiacere, siché offesa nella fede o nell'onore si sdegnasse meco e non l'avessi a godere piú mai. DULONE. Non è vostra moglie? non è per partorir tra poco? È bisogno che si sappia, o le piaccia o dispiaccia.

DULONE. Ben dimandate quella venerabil bestia del capitano, che stava passeggiando dinanzi a lei e suo padre, e con tanta sproporzionata bravura che ha mosso a rider l'uno e l'altra piú di tre volte. ERASTO. E il capitano stava mirando? DULONE. che il suo suspirare s'udiva un miglio. Ma eccolo che viene; non potea venir a tempo piú opportuno.

O soprana bontá, quanti sono i favori che oggi tu mi concedi! dolevami di aver una femina, poi di averla perduta; or ho una figlia e un nipote di lei. Mi par mille anni di riveder l'una e l'altro, ché, dubitando di non averla a veder in eterno, sto con uno accesissimo desiderio di rivederla. DULONE. Ascoltate tutta l'ambasciata. ARREOTIMO. Non posso ascoltare, vieni ché me la dirai poi dentro.

ERASTO. Ma che piú bella ciera si potrebbe veder di quella sua? come sotto quel color di latte e rose può covar tradimento? come è possibile che quel che dentro si covasse non apparisse di fuori? DULONE. Io non so perché tanta affezione. ERASTO. Mi ama, mi onora, mi serve con ogni affetto e ne ricevo continui benefici, che è la maggior catena che attacchi la benevolenza.

Io restai circondato di gente intorno, e i corpi andaron volando per l'aria, e ancor piovono dal cielo gambe, braccia, testa e mani di quei miserelli: pochi ne scamparono per aver avuto buone gambe. DULONE. Ecco l'avanzo de' birri che vengono per vendicarsi.

DULONE. Signora Cintia, non piú signor Cintio, sia lodato Iddio ch'è scoverta ogni cosa; e poiché la fortuna e tutto il mondo vi riverisce, giusto è che vi riverisca ancor io e che vi cerchi perdono delle offese, e del mio mal animo che v'ho sempre avuto, e di aver sempre dissuaso al padrone ché non v'amasse; ma poiché il mio padrone, che è di maggior giudicio ch'io non sono, ci s'era ingannato, non è gran cosa che mi fusse ingannato ancor io.

ERASTO. Perché se lo credessi morirei. DULONE. Non lo credete perché vi dispiace. ERASTO. Ma tu non sai che la domenica passata giacque meco e l'ebbi nuda in queste braccia? come dice che dormí seco in sua camera? DULONE. Dite che nol credete, e pure il domandate. ERASTO. Cerco la veritá del fatto.

ERASTO. Ti prometto che non potendola veder a mio modo, quando mi licenziarò, fingerò di abbracciarla; e cosí tôrla di peso e portarmela a casa, perché, secondo tu mi dici e io mi persuado, son stimato da goffo. DULONE. Dubito che con la sua vista vi incanterá, e rapito dalla dolcezza porrete in oblio ancor voi stesso.

ERASTO. Uccidimi presto e non farmi morire d'una ferita immortale. DULONE.... Al fin le diedi i dieci ducati per amor vostro e le diedi la collana, ché la portasse ad Amasia.

DULONE. Dubito che non siate come quello che dorme, che sempre sogna quel che desia, e desto poi trova il contrario; ma il giorno avete la mente cosí ripiena dalla sua imagine che la notte pur al buio vi par di godere l'istessa bellezza. Però vi dovreste risolvere di vederla ben di giorno e non starne con l'animo cosí dubioso. ERASTO. Se potesse essere saria giá fatto.