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LELIA. Perché non gli mira, donque? E lasci star me che non me ne curo. PASQUELLA. Oh Dio! Gli è ben vero che i giovani non han tutto quel senno che gli bisognarebbe. LELIA. Orsú, Pasquella! Non mi predicar piú, ché tu fai peggio. PASQUELLA. Superbuzzo, superbuzzo, ti mancará questo fumo! Orsú, il mio Fabio caro, anima mia!

SCATIZZA. Padrone, con targone bisognarebbe una lancia. VIRGINIO. Non mi curo piú di lancia. Mi basta questo. SCATIZZA. Questa rotella sarebbe piú galante per voi, essendo in giubbone. VIRGINIO. No; questa copre meglio. Oh! Par che questo montone m'abbia trovato a furare. Ho paura che 'l non abbia amazzata quella povera figliuola. STRAGUALCIA. Questa è buona arme, padrone.

Come se dal mio alvo fosse espresso il mondo è mio, sol perchè il vedo in sogno: quel che ho non curo, e quel ch’è incerto agogno, e mangio e bevo del mio sangue istesso. Delizia del cadere, e poi delizia del drizzarsi d’un balzo, senza chiedere aiuto: e non guardar che la mia fede, e portar dentro me la mia milizia!... E vado. Ad ogni membro ho qualche benda su qualche vecchia o giovine ferita.

FULVIA. Non mi curo dello stare, pur ch'io veda che maschio sia. RUFFO. E come può non bere chi assetato si trova al fonte? FULVIA. Verrá, dunque, oggi? RUFFO. Lo spirto tel fará venire subito, se vuole. Statti, dunque, avvertente in su l'uscio. FULVIA. Non bisogna questo, perché, venendo da donna, in presenzia d'ognuno può mostrarsi; perché non è chi per maschio il conosca. RUFFO. Basta.

Che mi curo io di vita? che di giustizia? Dieci anni di vita piú o meno non m'importa. ESSANDRO. Mi dicono che è romano e maestro di scuola, e che si chiama Arcinfanfano. Dimandarò ogniuno che incontro, accioché per negligenza non resti di trovarlo. ESSANDRO. Vien qua tu: perché fuggi? NARTICOFORO. Voleva andare, amicto, exonerare il ventre delle superfluitá della digestione.

, sono io, ma solo di nome, disse con amarezza il generale. Qui mi si odia, qui si mormora che io conduco l'esercito a completa ruina, che non so comandare, che mi curo degli Egiziani come fossero i miei cani. Sono inglese, e voi sapete guanto gli Egiziani odiano noi. Vi sono dei giorni che mi pento di essermi messo alla testa di questi miserabili, ve lo giuro. Quando marcieremo su El-Obeid?

No, Assereto; non scommetto mai. Spero che quella sia la carrozza del Collini, e non mi curo del rimanente. Ed io ti dico che sono gli altri. Vedremo. Sta bene, vedremo. Ma intanto, se egli non viene, che cosa si fa?

«Vi chiedo perdono, Messer Buoso, ma in cortesia vorreste rispondere ad una mia domanda?» «Dite.» «Non siete voi Ghibellino?» «Che vuol dire Guelfo, che Ghibellino? Io sono per me; del nome non mi curo più che del colore della veste; in qualunque sembiante procaccio mia ventura.» «Ma voi fin qui non combatteste per la fazione ghibellina, Messere

Nel 1454 fu firmata una pace, stabile oramai, che fermò, limitò gli Stati di Milano e Venezia, quali li vedemmo fino a' nostri . Francesco signoreggiò poi tranquillo, glorioso, splendido altri dodici anni; e negatagli l'investitura da Federigo d'Austria, non se ne curò; offertagli per danari, la ricusò.

Oh, niente, niente, sospirò lui. Avevo l'idea di scrivere un preludio. Ma non posso far nulla senza provarlo al pianoforte. E ciò ti disturberebbe. Non importa, non importa! Non curarti di me. Ma certo che mi curo di te, disse Nancy; e alzatasi gli andò vicino e si chinò su di lui, posandogli con affetto una mano sulla spalla.