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Aggiornato: 2 giugno 2025


Luigi Gonzaga, signore di Sabbioneta nel Mantovano, soprannomato il Rodomonte, al dir del Guazzo, storico contemporaneo, ogni grosso ferro di cavallo apriva, e spezzava di una sola scossa una fune grossa come cinque corde d'arco.

Appena il gatto ebbe ciò che voleva, s'infilò bravamente gli stivali, e mettendosi il sacco al collo, prese le corde colle zampe davanti e se ne andò in una conigliera, dove c'erano moltissimi conigli.

Non ci avevamo scritto che poche lettere la nostra vita intima ci era ignota a vicenda. Pure Eugenio aveva un cuor buono, e in quelle giornate di solitudine, sconfortato dei miei affetti, timoroso di vedere distrutte le ultime corde armoniose del mio seno, pensai a lui con desiderio, e gli scrissi con abbandono.

Hai fatto testè un'opera bella e giustamente lodata; ma non devi riposarti sugli allori. Ti consiglio di provarti subito in un'altra, e di maniera diversa dalla prima. Il buon arcadore, quando va alla battaglia, porta sempre con due corde di rispetto. Non ti basti di essere un frescante.

TRASIMACO. Ti aspetto con la buona nuova. GULONE. Novissima buonissima. Or batto: toc, toc. TRINCA. Volpino, sali su quelle legna. TRINCA. Ti venghi a mente recar le corde. TRINCA. Non ti smenticar di cinquanta nespole acerbe. TRINCA. Gulone, che si fa? GULONE. Bene. TRINCA. Non è tua usanza. GULONE. Ti viene a visitar un tuo amico carissimo.

Quando, per troppa salda di quelle, o per subitaneo ingrossamento delle corde del collo, si sentiva nulla nulla a disagio, ficcava due dita nel colletto, e crac! strappava senz'altro, bestemmiando la cameriera, che fuggiva nella sua camera a farsi il segno della croce.

Prese una bisaccia di tela, con alcuni viveri, si munì di un bastone ferrato, e di corde, si fece seguire dal suo cane che non lo abbandonava mai, e s'avviò sulla montagna senza ascoltare le preghiere della mamma che temeva di perderlo.

Mi fu mostrata la stanzetta dove abitava il fanciullo predestinato. Più tardi, alla villa di Sant'Agata, vidi anche il primo strumento sul quale si erano esercitate le sue dita infantili. Quella emerita spinetta non ha più corde, ha smarrito il coperchio. La sua tastiera somiglia alla mascella d'un cranio dai denti lunghi e corrosi. Eppure, qual prezioso monumento!

Egli vedeva delle corde pendere da anelli confitti alla vôlta, delle catene ribadite alle mura, dei cavalletti, dei fasci di verghe, degli arganelli di cui doveva apprendere l'uso, una specie di letto da campo, tutto un arsenale di ferraglia, di fornelli. E' credette un istante che, sendosi addormentato nel XIX secolo, si risvegliasse in una sala di giustizia del medio evo. La sua vista si turbò.

E vibrano dolorose corde per strappi recenti: e schizzano sarcasmi che fanno salire le lagrime agli occhi, come in quei prigionieri di Leontieff: Essi tornano. A branchi, come pecore qua e l

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