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Aggiornato: 20 giugno 2025


Questi infingimenti sono inutili! esclamò il giudice, adoperando questa volta la ciera brusca, per atterrire il giovane Tognetti. Consta alla giustizia che in quella sera tu hai preso parte alla nefanda ribellione; consta che hai commessi misfatti e nequizie senza termine; consta che hai perpetrati omicidi, ferite, ed altri crimini e delitti; consta sopratutto, che ti sei macchiato del crimine di lesa maest

Vige ed Agnul corsero subito fuori e con meraviglia videro scendere dal legno il conte Leonardo Mangilli, che col suo fare burbero e colla ciera più scura del consueto venne loro incontro sollecitamente, accennando colla mano al carrozzino. Che c'è? che c'è? domandarono.

Ebbene, esclamò Tonino Grim * ai piedi della scala, tenendo irriverentemente il cappellino di paglia molto abbassato su gli occhi, trafelato dal caldo, guardando sua sorella che scendeva oncia a oncia. Ti alzi adesso? hai la ciera d'un passerotto tolto dal nido. Vorrei sapere, Tonino, che cosa vieni a fare da me a quest'ora? Vengo a far colazione e più tardi a pranzare.

Garibaldi sedeva a terra fumando, dopo mangiata la pesca, l'invariabile mezzo sigaro. E noi da presso. Si volse al capitano con ciera fosca e con un punto interrogativo.

Aminta resta con noi, rispose don Luigi e soggiunse: anzi fatemi il piacere voi di avvertire il signor De Boni. Lo speziale non potè trattenere un atto di meraviglia: la sua ciera volpina si aguzzò alla più viva curiosit

PANIMBOLO. Se menasse cosí i piedi nel caminare come le mani ne' piatti o le mascelle quando mangia, che l'alza in su e giú come un ballone, sarebbe venuto prima. DON FLAMINIO. Eccolo, ma con una ciera annunziatrice di cattive novelle. DON FLAMINIO. Leccardo, benvenuto! LECCARDO. Non son Leccardo mai fui Leccardo, ché non mai mi toccò leccar a mio modo. DON FLAMINIO. Sempre sul mangiare!

In fatti, dopo un mese di vita campestre, a dire dei paesani, il signore aveva fatto una ciera più lustra. I suoi denti di alabastro brillavano più spesso nel sorriso dell'amorevolezza che non in quello della ironia mefistofelica. Usciva più sovente al passeggio. Si intratteneva sulla piazzetta a udire i colloqui dei contadini, a veder giuocare i fanciulli. Riceveva qualche visita alla sera.

Ma quel delle vesti va via. PANURGO. Dágli tanti calci su lo stomaco fin che vomiti il sangue. PELAMATTI. Non son tuo schiavo. MORFEO. Perdonagli, padrone, ché maestro Rampino m'ha detto che è un grossolano: non vedete che visaccio da bufalo? quella ciera parla e grida che è la magior bestia del mondo. PANURGO. Giá mi era venuta la stizza al naso.

Era scorso appena un quarto d'ora che Attilio comparve sull'uscio e mi disse: Vo a cercare il cavallo, mi accompagni? Aveva una ciera tanto buia che mi sgomentò. Fuori mi prese a braccetto. Dunque? domandai con viva ansiet

CRICCA. Ma bisogna che vi tratti prima in che modo l'abbi ricuperata. PANDOLFO. Non mi curo del modo: bastami solo che sia mia. CRICCA. Partito che fui da voi, me ne andava per la piazza dell'Olmo. Per la via m'incontro in un uomo d'una ciera assai traditora: egli mirava me ed io mirava lui, ed egli pur mirava me.... PANDOLFO. Che ha da far qui l'allegrezza che vuoi darmi?

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