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Aggiornato: 1 giugno 2025
Egli non avrebbe mai concessa la mano di Lalla al suo fiero avversario, al suo competitore, al suo vincitore; e Maria, affidandosi a quel soccorso insperato, volle subito uscire da ogni incertezza, fece chiamare il marito, e superando a stento la propria commozione, gli espose la inaspettata domanda del conte Della Valle. E tu, cara, tu che cosa gli hai risposto?...
Le avevan messo accosto da qualche tempo il giovane Duccio Massenti, trovato al ballo d'una famiglia amica. Aveva ventisei anni, possedeva una discreta fortuna, portava il titolo di conte. Non era nè brutto, nè bello; di figura media, coi capelli chiari, gli occhi castani, il mento ornato da una piccola barba a punta, mancava d'una espressione decisa e significante; ma era gentile e compito.
La falsa accusa, la calunnia contro Roberto? Per lei non era nè calunnia, nè falsa accusa. Che il conte di Squirace fosse caduto nel precipizio, per un movimento da lui fatto nella mischia, poco significava: Roberto l'avea sospinto a quel movimento; dunque Roberto era l'assassino del conte di Squirace. E poi egli non avea minacciato di morte anche lei?
Tosto che la porta della camera fu aperta, e gli occhi s'incontrarono, fu un commovimento straordinario; il Palavicino si precipitò nella camera e cadde come spossato nelle braccia del conte, che gli si slanciò incontro con un movimento istantaneo.
La campana di San Martino in Nosigia suonò in questa l'avemmaria. Il Palavicino che s'era messo a sedere si alzò... fece due o tre passi per la camera, poi con un accento il più accorato che mai. Discenderò in chiesa, disse; bisogna ch'io parli al priore, bisogna ch'io veda il luogo dove sta il corpo benedetto di mia madre. Sarebbe meglio vi fermaste ad aspettare il conte.
Ma Giovagnoli, nativo di Monterotondo e ben conoscendo il Ramarini, scrisse a Narratone consigliando Bertani a desistere dal suo proposito e assicurandolo che il conte papalino, decorato da Pio nono della croce di cavaliere di non si sa qual ordine, non avrebbe accettato la sfida.
Mentre che il conte Zaccaria faceva da cicerone agl'illustri forestieri e il marchese genero gli serviva da interprete, gli altri invitati si pigiavano nel salotto degli arazzi intorno alla languida contessa Chiaretta, o, prudentemente, prendevano il loro posto sul poggiuolo o davanti a qualche finestra per goder meglio dello spettacolo.
Oh! pensava, dunque quella donna, per la quale il cavaliere dell'Isola era stato diseredato, scacciato, lo tradì. Ed egli temeva vendicarsi in modo orribile invece di desiderarlo!... Pare fosse molto pentito... Sembra scrivesse ad un'amica; comprendo... Ed andando innanzi: Un altro figlio!... Finita la lettura, si volse al conte e gli rese la lettera. Ebbene, duca? chiese egli.
Se domani mi verranno in mente codeste infamie, io temo che la spada abbia a croccarmi tra le mani. Ma tuttavia mi conforta che in taluni ancora, o non son pochi, c'è ancora moltissima virtù. Vorrei crederlo, caro marchese, ma per quanto io vada guardandomi attorno, se voglio prendere un conforto, convien pure che io ritorni qui! Malissimo, conte. Perchè malissimo?
Mai aveva egli veduto un cavaliere, che riunisse maggiori pregi esteriori; quell'aspetto distinto e gentile, quei tratti belli e nobili, ai quali una leggiera impronta d'orgoglio dava maggior risalto, lo prevennero all'istante in favore di Federico. Voi avete a parlarmi, signore? chiese questi al conte di San Giorgio alzandosi.
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