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Aggiornato: 4 giugno 2025
TRIPERUNO. Assai piú duro soggetto potrebbevi sotto la sorte che sotto lo beneplacito del poeta accascare. LIMERNO. E questa tua ragione qualche bona iscusazione appresso gli uomini intelligenti recarammi, se non cosí facili, come la natura del verso richiede, saranno.
Ma bussate, bussate forte, ché ben ve responderanno. RITA. Vedine nessuno tu? MALFATTO. Sí: veggo la gatta. Volete che la chiami? Mis! mis! Non ce vole venire. RITA. Oh bestia balorda! Io pichiarò tanto che qualcuno si affacciará. MALFATTO. Bona notte. M'aricomando. RITA. Addio, addio. Tic, toc. MALFATTO. Oh! me ssi era scordato.
SAMIA. Te so dir che l'ha ne l'ossa! Dice aver visto Lidio suo dalle finestre e mandami a favellarli. Tirandol da parte, li parlerò. Bona vita, messer. LIDIO femina. Ben venga. SAMIA. Due parole. LIDIO femina. Chi sei tu? SAMIA. Mi domandi chi sono? LIDIO femina. Cerco quel ch'io non so. SAMIA. El saperrai ora. LIDIO femina. Che vuoi?
ESSANDRO. Questo sí, entrate e serratevi dietro bene, ché verrò or ora a ritrovarvi. GERASTO. Perché non adesso? ESSANDRO. Darò un'occhiatina per la casa, vedrò che facci la padrona, mi farò vedere, e me ne vengo. GERASTO. Bene. Io tra tanto me ne andrò volando per una facenda: chi arriva primo, aspetti. ESSANDRO. Benissimo. GERASTO. Non mi darai tu un'arra della tua bona volontá?
Mo' aggia avé che fa pure c' 'a pulezia! Aggiu pacienza... Nun c'è che fa! E d' 'a mia, neh, Vi'? Addo' vaie? Addo' aggia i'? Voglio nchiudere 'a puteca e mme ne voglio i' 'a casa. 'A casa? Eh! 'A casa, sì!... E doppo ca nun ghiesse 'a casa mme l'avesse pruibbì quaccheduno? Addo' vaie? Mme ne vaco. Tu vuo' nchiudere 'a puteca e te ne vuo' i'... Mme ne vaco... E statte bona...
ALESSANDRO. Nulla. PANFAGO. O mal d'affogaggine! Oimè, che la fame m'asciuga lo stomaco e la sete mi disecca le vene; ma possa io morir di mala morte, se non me ne farò vendetta e bona! Traditori assassini, che dispetto vi feci mai, che meritasse tanto scherno? farmi star tutto il giorno su le speranze, digiuno?
A n, mellite, fugis sic me? me, ingratule, scampas? B astardelle levis levisque cinedule, sic sic I ndignatus abis? Sta mecum, argutule, semper: E n paradisus adest, en hortus deliciarum; R elligio quaenam melior, quae tam bona lex, quam E sse hac in vita, qua vivimus absque travaio? Concors discordia. O vitam sanctam, o ritus moresque beatos!
Ed io vice versa tutto mi congratulava di tanta obedienza. Or piú non prezzi i fatti miei, «cepit te oblivio» d'ogni buon costume, e ti sei posto ad amplectere l'amor d'una donna. Odi Marone: «Varium et mutabile semper femina»; dove l'Ascensiano interprete enucleando quelle parole dice: «Femina nulla bona». Ella si ricorderá di te appunto come se non t'avesse conosciuto mai.
GIACOMINO. Ed io troppo torto farrei all'infinito tesoro delle sue qualitá, se cercasse altra dote che la sua persona: poco o nulla è la mia qualitá al suo gran merito. GIACOCO. Ti dico che ne zeppolie ssa bona dote, che è autro che bellezzetudine.
REPETITORE. Aspettate, ché nunc venio. MASTRO ANTONIO. El voio aspettar a ogne modo. Trin, trin, trin. REPETITORE. Bona dies, Dominatio Sua. MASTRO ANTONIO. A no sudo, no; a so' be' stracco. Che xe del mistro? REPETITORE. È andato a negoziare. MASTRO ANTONIO. Ello me disse che mi vegnesse a zercarlo. REPETITORE. Se volete venire in casa, fate voi. MASTRO ANTONIO. Sí, de grazia: ve nne priego.
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