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Aggiornato: 25 giugno 2025
EUGENIO. Siate la benvenuta, dolcissimo sostegno della mia vita! Mi par che siate di mala voglia. ARTEMISIA. E disperata ancora, poiché in tanto tempo non veggo favilla alcuna di luce con cui avvivi la speranza dell'esser vostra.
LELIO. Cosí si fará: io andarò a casa ad avisar tutti del fatto; tu partiti, ché non sii visto con noi ed entrino in sospetto. EUGENIO. Cosí si faccia. LELIO. Signor Eugenio, mi raccomando. EUGENIO. Signor Lelio, servitor vostro. EUGENIO. Cricca, raccommandami ad Artemisia mia. CRICCA. Raccommandatevegli voi stesso.
EUGENIO. Veggio scoprire il mio sole: e come il sole sorgendo la mattina, vien il mondo a rischiararsi e farsi bello, che era dinanzi tenebroso e pien di orrore; cosí apparendo voi, mio chiarissimo sole, le tenebre e amaritudini del mio cuore tutte si fanno illustri, e mi riempie il cuore di dolcezza. ARTEMISIA. Siate il ben trovato, spirito dell'anima mia!
PANDOLFO. Tu sai che ci convenemmo insieme con Guglielmo, io dargli Sulpizia mia figliuola per moglie, ed egli a me Artemisia sua figliuola, chiedendomi due mesi a fare le nozze, finché andasse e tornasse di Barberia.... CRICCA. Ed in un'ora non poteva andare e ritornare dalla barberia? PANDOLFO. Come in una ora si va nell'Africa? CRICCA. Io pensava dalla barberia a farsi radere la barba.
GUGLIELMO. Sian benedetti i cieli che mi vi tolsero dinanzi, ché mi avevano stracco con non so che vignarolo o che argento! Tic toc. ARTEMISIA. Chi batte, olá? GUGLIELMO. O Artemisia, figlia cara, aprimi, che sii tu benedetta! ARTEMISIA. «Figlia cara», dice il furfante: ah, ah, ah! GUGLIELMO. Non conosci il tuo padre Guglielmo? ARTEMISIA. Chi Guglielmo? GUGLIELMO. Chi Guglielmo? tuo padre.
Che legge maladetta è questa! ARTEMISIA. Eh, sorella, queste leggi se le han fatte gli uomini a lor modo; se toccasse a noi, ce le faressimo al nostro. Ma assai siamo noi infelici per ora: senza che andiamo rammemorando le nostre sciagure, ragioniamo di altro. Ditemi di grazia, se parlate mai di me col vostro fratello. SULPIZIA. Sempre di voi. ARTEMISIA. Che dice su questo fatto?
Vuol servirsi di me per medicina del suo male, di me che sono inferma e ho bisogno di medicina per me stessa nella mia infermitá; ed io, misera! non so far altro che amaramente piangere, sospirare e consumarmi. EUGENIO. Datevi pace, ché forse Amore vi consolará. ARTEMISIA. Quel «forse» è una magra speranza.
Va' in casa di Guglielmo ed entraci con riputazione; poi comincia a far prima i fatti tuoi, poi i fatti del padrone: che Armellina si sposi con il vignarolo e poi Artemisia col padrone. Ma se non lo volessero fare, che farai tu? Io ne torrò Armellina per forza e di Artemisia facci il padrone. Ah, traditora Armellina, or ti renderò le parole che mi dicesti questa mattina!
I vostri meriti sono tali che meritarebbono altro uomo che non sono io; ma perché conosco solo i vostri meriti, per il grande amore che li porto, mi par che possa meritarli. ARTEMISIA. Se cosí è, perché scorgo in voi tanta tepidezza in sollecitar le mie nozze? Voi sète d'accordo con Lelio mio fratello. Non vedete che l'indugio vi potrebbe apportar qualche disturbo?
ALBUMAZAR. Voi desiderate saper d'un certo Guglielmo si sia vivo o morto, il quale vi avea promesso Artemisia sua figlia per sposa, e voi a lui Sulpizia per contracambio, e se ne andò poi in Barberia. PANDOLFO. Me l'avete tolto dalla punta della lingua. Ma che motivi or vedo?
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