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Oh, il signor Pietro! esclamò la Gioconda, che spazzava l'anticamera. Era quello il giorno del gran pranzo al duca di Casalbara, e tutta la casa, per ordine del direttore, doveva essere in ordine e lucente come uno specchio. Il signor Pietro!... E la Gioconda continuava a fissarlo, col faccione attonito. Ma sa che lei è diventato brutto?... Brutto da far spavento?

La contemplava con occhi rapiti quando parlava coi fornitori e coi vicini; e la seguiva di stanza in stanza quando essa spazzava e faceva i letti. Minna portava delle vesti scollate, e intorno al collo un nastrino di velluto nero e una fila di perle azzurre. Agli occhi di Anne-Marie, Minna rappresentava la perfetta bellezza muliebre.

È ormai provato che Cristo giammai non si chiamò Dio; anzi, agli adulatori che non mancavano nella famiglia degli usuraj come nel resto della famiglia umana, e che volevano deificarlo, egli rispondeva: «Io sono figlio dell'uomoPiù secoli dopo i preti, cioè gl'impostori delle Nazioni, col ritiro degli Dei dall'Olimpo, che avevano fatto il loro tempo, e che il tempo con le sue ali spazzava, i preti, dico, avevano bisogno d'una nuova bottega, e chi meglio del Redentore degli schiavi (tanto simpatico alle popolazioni oppresse dai corruttissimi tiranni di Roma) per edificare un nuovo caravenseraï¹ sulle rovine dell'antico? Quindi miracoli, deificazione di Cristo, Verginit

Ella la destinò alle faccende più triviali della casa: era lei che rigovernava in cucina, lei che spazzava le scale e rifaceva le camere della signora e delle signorine; lei che dormiva a tetto, proprio in un granaio, sopra una cattiva materassa di paglia, mentre le sorelle stavano in camere coll'impiantito di legno, dov'erano letti d'ultimo gusto, e specchi da potervisi mirare dalla testa fino ai piedi.

Andò alla finestra e restò un momento a respirare l'aria, perchè si sentiva un peso sul petto, e stentava molto a tirare il fiato. Il tempo pareva nuovamente sul cambiare. Un vento forte spazzava le nubi e il sole mattutino tingeva il cielo di rosa. Alcuni contadini ritornavano alle loro case, la testa bassa, le braccia penzoloni. Altri continuavano a girare pei campi, all'impazzata.

Ben presto non rimase più a farmi compagnia a tavola e nello smoking-room che il dottore, un inglese dalla barba rossa, molto amante dei liquori e della birra. Dopo tre giorni, oltrepassati i banchi di Terranova, il tempo si rasserenò un poco e qualche passeggiero sbucò dalle cabine; ma ben presto tornò la tempesta; il Rhynland riprese le sue danze; l'acqua spazzava ambedue i ponti.

I popolani, assaliti a tergo da nuove compagnie di cacciatori esteri, partiti al passo di corsa dalla vicina caserma, furono schiacciati fra due fuochi, mentre la fucilata continua del palazzo spazzava la grande scalinata. Funeste del pari procedevano le sorti della rivolta in altri punti di Roma; e dappertutto invano si spargeva il sangue cittadino.

Giacchè non solo sparavano le artiglierie della truppa concentrata in Palazzo Reale, Castellamare, ecc., ma la flotta Borbonica infilando le strade principali, le spazzava coi suoi forti proietti e distruggeva non pochi edifizi con granate e bombe.

Dal terrazzo, vestito, tutto pronto, cavando l'orologio nella penombra della luna tramontata e del giorno che sorgeva, vidi aprirsi una ad una le case dei contadini. Nell'albergo, dormivano ancora. Pure, sapendo che col treno delle sei e mezzo aspettavo mia moglie, si alzarono. Mi nascosi, vergognandomi di farmi vedere così premuroso. Ma dalla finestra, vedevo sempre la stazione, che s'era svegliata anche lei. Sotto la porta, un facchino si stirava le braccia. Uscii, non ne potevo più. Nel crepuscolo mattinale la serva spazzava, in basso, la stanza da pranzo. Le dissi che andavo a passeggiare. Sorrise. Non capii quel sorriso. Ero inebetito. Come l'ora si appressava, cresceva in me la sicurezza che non sarebbe venuta. Non viene, non viene mormoravo. Me ne andai sulla via maestra, parallela alla via ferroviaria. Andavo incontro al treno, come un pazzo, come un bambino. Poi la via maestra faceva un gomito; tornai indietro, alla stazione. Presi una tazza di caffè, poi un vermouth nel piccolo caffè, parlai col padrone. Era l'alba, ma grigia. Forse il sole non sarebbe uscito, forse essa non sarebbe venuta. Anzi era certo che non veniva. Aspettavo per scrupolo di coscienza, quasi per dovere. Avrei potuto andarmene, perchè non veniva. D'un tratto odo un debole fischio, un suono di campanella, mi precipito fuori, in tempo per vedere un treno nero, bagnato d'umidit