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Chi sarai?... Debole Corpo impossente Di mal nudrito, In buia, torpida, Rude ignoranza Inebetito?... Chi sarai?... Libera Alma selvaggia Di lottatore, De l’imo popolo, Del solco vergine Sôrto dal cuore?... Tu giochi, ingenuo; Ma l’aria e l’ombra San di tempesta.

Malgrado la sua cera assorta, noncurante, le sue distrazioni, il suo silenzio, la gente gli voleva bene. Il direttore se lo teneva caro, sfruttandone il genio inventivo. Bertha lo curava come un grosso bambino inesperto, dandogli sulla voce, carezzandolo, dirigendolo in tutte le azioni della vita in cui si mostrava tanto ingenuo. Lottchen lo disprezzava, lo tormentava e lo amava. I bambini se lo mostravano a dito nella via, gli tenevano dietro, gli saltavano addosso, gli frugavano nelle tasche, era la divina provvidenza per loro. Egli camminava colla testa nelle nuvole, artista innamorato dell'arte, sognatore incorreggibile, con le dita che gli si movevano come se toccassero molle misteriose. L'idea fissa scacciava a poco a poco tutte le altre. Alle volte si stordiva tanto da rimanere inebetito per un paio di minuti; poi nel cervello cominciava una ridda infernale d'idee che cozzavano fra loro, e allora gli operai non avevano il tempo di copiare un modello che gi

Nemmeno nei primi mesi della luna di miele la contessina Lalla perdette il suo tempo: no, no; anzi, quando Giorgio si abbandonava accanto a lei inebriato e inebetito, colle pupille stanche, ella apriva i suoi grandi occhioni, e attentamente studiava il marito per imparare il modo di guidarlo e di dominarlo. E gi

O mi sarei inebetito coi liquori, o avrei giocato. Ma a che tante giustificazioni? E per chi? Sento l'anima mia e sento che ho sempre ragionato: e con grandi sacrifizi, ma ho sempre ragionato: e sento di essere un uomo.

Per quanto inebetito, per quanto la simulazione di Nora fosse sapiente, inebriante, tuttavia, anche se egli non capiva, sentiva che era sempre la "nuova" duchessa Eleonora che amava il vecchio duca di Casalbara; e in ogni modo, fosse stato anche vero e sincero nella giovane donna quel raro caso d'innamoramento, non poteva tuttavia aver avuto per origine naturale ed onesta altro che la gratitudine, non poteva essere tenuto vivo altro che dai continui doni, dal continuo sfarzo, dai continui divertimenti.

Dal terrazzo, vestito, tutto pronto, cavando l'orologio nella penombra della luna tramontata e del giorno che sorgeva, vidi aprirsi una ad una le case dei contadini. Nell'albergo, dormivano ancora. Pure, sapendo che col treno delle sei e mezzo aspettavo mia moglie, si alzarono. Mi nascosi, vergognandomi di farmi vedere così premuroso. Ma dalla finestra, vedevo sempre la stazione, che s'era svegliata anche lei. Sotto la porta, un facchino si stirava le braccia. Uscii, non ne potevo più. Nel crepuscolo mattinale la serva spazzava, in basso, la stanza da pranzo. Le dissi che andavo a passeggiare. Sorrise. Non capii quel sorriso. Ero inebetito. Come l'ora si appressava, cresceva in me la sicurezza che non sarebbe venuta. Non viene, non viene mormoravo. Me ne andai sulla via maestra, parallela alla via ferroviaria. Andavo incontro al treno, come un pazzo, come un bambino. Poi la via maestra faceva un gomito; tornai indietro, alla stazione. Presi una tazza di caffè, poi un vermouth nel piccolo caffè, parlai col padrone. Era l'alba, ma grigia. Forse il sole non sarebbe uscito, forse essa non sarebbe venuta. Anzi era certo che non veniva. Aspettavo per scrupolo di coscienza, quasi per dovere. Avrei potuto andarmene, perchè non veniva. D'un tratto odo un debole fischio, un suono di campanella, mi precipito fuori, in tempo per vedere un treno nero, bagnato d'umidit

Quel vecchio bamboccio mezzo addormentato, istupidito e inebetito dalla moglie giovane, non incuteva loro rispetto, compassione: fra loro due, quando rimanevano soli col duca, ne ridevano sommessamente: erano appena mezze parolette, mezze frasi buttate alla sfuggita.... ma che non sfuggivano al duca, attentissimo, inquietissimo.

Ho potuto fare una cosa orrenda. Stenterai a credermi. Tornato dal cimitero dove avevo assistito, senza piangere, quasi inebetito, al seppellimento della mia morta adorata, mi son chiuso nella cameretta accanto a quella in cui mia madre era spirata due giorni avanti.... ho ripreso il mio romanzo abbandonato da parecchie settimane, come se niente di terribile fosse accaduto nella mia vita.... ed ho scritto, ho scritto, notte e giorno per dieci giorni di sèguito, dormendo qualche ora seduto nella poltrona, con la testa su le braccia appoggiate al tavolino, sostentandomi con caffè e latte e pochi biscotti, domando così lo sconvolgimento fisico dell'organismo che pareva dovesse annientarmi l'intelletto. È stata, forse, azione istintiva, per proteggerlo, per salvarlo.... Una mostruosit

Presto.... intanto che è caldo! dice l'altro facendo l'atto di rimuovere la coltre. Ma vedendo che io do di mano al candelliere e minaccio, s'egli osa ancora avanzarsi, di gettarglielo in viso, Gianbarba si arresta, mi guarda con occhio inebetito di stupore e poi dice con tono quasi supplichevole: «la si fidi di me, signor padrone! ci ho della pratica il signor pretore, al quale applicavo tutte le sere il benefizio, non ebbe mai a lagnarsi della mia abilit

Dal terrazzo, vestito, tutto pronto, cavando l'orologio nella penombra della luna tramontata e del giorno che sorgeva, vidi aprirsi una ad una le case dei contadini. Nell'albergo dormivano ancora. Pure, sapendo che col treno delle sei e mezzo aspettavo mia moglie, si alzarono. Mi nascosi, vergognandomi di farmi vedere così premuroso. Ma dalla finestra vedevo sempre la stazione, che s'era svegliata anche lei. Sotto la porta un facchino si stirava le braccia. Uscii, non ne potevo più. Nel crepuscolo mattinale la serva scopava, in basso, la stanza da pranzo. Le dissi che andavo a passeggiare. Sorrise. Non capii quel sorriso. Ero inebetito. Come l'ora si appressava, cresceva in me la sicurezza che non sarebbe venuta. Non viene, non viene mormoravo. Me ne andai sulla via maestra, parallela alla via ferroviaria. Andavo incontro al treno, come un pazzo, come un bambino. Poi la via maestra faceva, un gomito; tornai indietro, alla stazione. Presi una tazza di caffè, poi un wermouth nel piccolo caffè, parlai col padrone. Era l'alba, ma grigia. Forse il sole non sarebbe uscito, forse ella non sarebbe venuta. Anzi era certo che non veniva. Aspettavo per scrupolo di coscienza, quasi per dovere. Avrei potuto andarmene perchè non veniva. D'un tratto un debole fischio, un suono di campanella, mi precipito fuori, in tempo per vedere un treno nero, bagnato d'umidit