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Non spaventarti.... E' il ronzìo dei mosconi politici!... Si dibattono con furia, senza speranza, per evadere dall'immensa tela di ragno formata dalle correnti di bava telegrafica, che s'agganciano, lontano, a tutti i punti dell'orizzonte.... L

E percioché questo lor vermine non muore, il seguono in giro, a dimostrare che, come nel cerchio non è alcun principio fine, cosí questa lor fatica non debba giammai avere requie riposo. E a questo atto gli solletica il vermine della coscienza con due stimoli, con mosconi e con vespe, li quali continuamente li trafiggono. E questo basti de' cattivi aver detto.

Mezz'ora dopo, aveva trovato il Bonisconti, e, miracolo più strano a gran pezza, lo aveva fatto saltar giù dal letto, dove il suo conoscente pensava di schiacciare ancora un sonnellino di tre ore. Il Bonisconti, per solito, si alzava all'alba dei mosconi; segno che andava a letto all'alba di tutti gli altri animali.

Sandro glielo aveva detto le tante volte, prima di condurla in moglie, e non rifiniva di dirglielo tutti i giorni; più tardi, gliene faceva testimonianza il ronzar continuo di certi mosconi intorno alla villa e qualche stornello cantato di nottetempo nella viottola, che a lei faceva alzare disdegnosamente le spalle tra le lenzuola.

Intorno a lui ronzavano i mosconi nel caldo odore dell'erba tagliata e messa a seccare. Frulli d'ala, cinguettii di passeri vagabondi e i colpi spessi delle coti sulle falci, portati dal vento e mescolati alle voci erranti del villaggio, gli facevano intorno un piccolo mondo, in cui sentiva mescolarsi la vita alla morte.

«Questi sciaurati». Questo vocabolo è disceso dall'antico costume de' gentili, li quali nelle piú lor cose seguivano gli augúri, cioè quelle significazioni che dal volato e dal garrito degli uccelli, qual buona e qual malvagia, secondo le dimostrazioni di quella facultá, scioccamente prendevano; laonde quelli che malo augurio avevano, erano chiamati «sciagurati»; il qual vocabolo oggi appo noi suona «sventurati». «Che mai», cioè in alcun tempo, «non fur vivi», quanto è ad operazioni spettanti ad uomini, li quali si dican vivere. «Erano ignudi»: questo medesimo si può dire di tutti i dannati, i quali non solamente son privati di vestimenti, ma di consolazione e di riposo; «e stimolati molto», trafitti, «da mosconi e da vespe, ch'eran ivi», cioè in quel luogo. «Elle», cioè i mosconi e le vespe, «rigavan lor di sangue», il quale delle trafitture usciva, «il volto». Chiamasi la faccia dell'uomo «volto», in quanto per quella il piú delle volte si discerne quello che l'uom vuole: e cosí si diriverá da «volo vis», che sta per «volere». «Che mischiato di lagrime, a' lor piedi, Da fastidiosi vermi era ricolto», questo sangue mescolato con le lagrime de' miseri cattivi.

Poscia ch'io v'ebbi alcun riconosciuto, vidi e conobbi l'ombra di colui che fece per viltade il gran rifiuto. Incontanente intesi e certo fui che questa era la setta d'i cattivi, a Dio spiacenti e a' nemici sui. Questi sciaurati, che mai non fur vivi, erano ignudi e stimolati molto da mosconi e da vespe ch'eran ivi.

Nella grande stanza deserta, il sole d'agosto entrava a fiotti dalle vetrate senza tende, e gli armadii intorno sapevano di resina, e i mosconi ronzavano contro i cristalli mentre lo stridio non interrotto delle cicale sembrava arrecare su dalla valle il saluto trionfale della terra feconda.

Ernesta fantasticava sempre: oh! vivere sotto il tetto che era nido agli stornelli, nella solitudine che affina i sensi, farsi della sfinge l'amica del crepuscolo, dei grilli e delle rane gli amici della notte, dell'usignuolo l'amico di tutte l'ore; ascoltare i passeri biricchini, il cuculo armonista, ricevere la visita delle farfalle e dei mosconi e passare così la vita...!

Montati in camera, questi intraprese la metamorfosi di Enrico, vestendolo di nero; poi andarono dal cappellaio, poi dal Mosconi il calzolaio dei nobili, poi dal Prandoni.