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Aggiornato: 6 luglio 2025


Ma in prima mi piacerebbe udire da voi medesimo, come e quando avete sentite quelle strane dicerie delle quali in questa lettera mi vien parlato

L'Ericio Puteano, autore d'una Istoria Cisalpina, fece cenno di quel Castello colle seguenti parole: Era una rocca sovra una scabra ertezza posta come a vedetta di tutto il lago, di triplice lorica e di altrettanti castelli provveduta . E veramente la falda di monte su cui si erigeva quel forte venne da lui a buon diritto chiamata una scabra ertezza a causa della natura del sasso di cui va composta, e di sua alpestre configurazione. Sulla sponda occidentale del lago, da Rezzonico a Musso, le montagne si dirompono scendendo all'acque in valloncelli e pianerotoli coperti d'erbe e di piante; ma poco a settentrione dell'ultimo Borgo si scorge il monte nudo, erto, petroso protendersi lungo il lago per un tratto considerevole. Dall'un lato si stanno con Musso altre picciole terre disseminate pel pendío, dall'altro la montagna s'interna con rapido rivolgimento quasi ad angolo retto ver ponente formando un seno o piuttosto un golfo contornato da verdeggiante pianura, che si stende da Dongo a Gravedona. Questa schiena di monte, che s'appellava ne' passati tempi la Montagna del Castello, ed ora che le mura di esso stanno diroccate al suolo, vien detto il Sasso di Musso, è formata d'una pietra bigia, ruvida, spugnosa, congiunta così come fosse un solo gran masso, su cui allignano pochi sterpi e bronchi radicati nelle screpolature, entro cui le pioggie infiltrano un minuto terriccio. Due vallette tagliano di prospetto la fronte di quel gran sasso, l'una ver Dongo, che nomasi la Val-orba, in fondo alla quale stagnano acque nereggianti; l'altra, la Val-del-merlo, più della prima angusta, ma fruttosa in suo seno d'ulivi. Vicino a quest'ultima, dalla parte di Musso, sovra alcuni rialzi che formano un profilo distinto del monte, s'erigeva il Castello, ossia i varii forti che il componevano: poichè dalla notabile altezza dove trovavasi il maggior fabbricato ch'era la vera rocca, scendevano baluardi, mura e torri non interrotte sino alla strada, chiudendo altre rocche, ed alla strada congiungevansi per mezzo dell'arco, ch'era la Porta di Musso, alle mura del Porto, che s'avanzava co' suoi moli nel lago. Siccome que' forti che formavano il Castello, erano stati in tante riprese da diversi dominatori costruiti, e in epoche disparate ampliati e precinti di bastioni e di vedette, mostravano nelle varie foggie architettoniche di loro torri e finestre, nel colore delle mura l'indole e la distanza delle et

17 Poi che passò l'esercito di Spagna con bella mostra inanzi al re Agramante, con la sua squadra apparve alla campagna il re d'Oran, che quasi era gigante. L'altra che vien, per Martasin si lagna, il qual morto le fu da Bradamante; e si duol ch'una femina si vanti d'aver ucciso il re de' Garamanti.

Allor scote le briglie, e picca il fianco Del gran destriero; e con la destra irata Impugna il brando, che dal lato manco Pendea ricinto di catena aurata. Ma nel buon corridor l'ardir vien manco Per l'alta fiamma a non mirarsi usata, Che da l'armi celesti in varie rote L'aria dintorno co' gran rai percote.

Che bisogno c'era?... Forse al babbo riesciva d'imbarazzo l'accompagnarci, il vegliare su noi... Bisogna aver pazienza... suggerì la Bianca, che, sebbene più giovine di sua sorella, era più positiva, e meno facile ad eccitarsi. Ma che! Ma che! Io ho ventidue anni, mi so custodire da me, e tu pure; ed usciamo così poco che non può dargli fastidio l'accompagnarci; in casa non vien mai nessuno ...

Il punto di contatto più evidente, più imprudente, più impudente fra questa commedia e la Contagion è la finta catastrofe dello scioglimento. D'Estrigaud finge di morire in duello precisamente come Nanjac, e da questa astuzia scoperta vien risolto il nodo della commedia.

CARLO vien poi, che di Gebenna a gli empi Mal soffrir

<<Leva la testa e fa che t'assicuri: che cio` che vien qua su` del mortal mondo, convien ch'ai nostri raggi si maturi>>. Questo conforto del foco secondo mi venne; ond'io levai li occhi a' monti che li 'ncurvaron pria col troppo pondo. <<Poi che per grazia vuol che tu t'affronti lo nostro Imperadore, anzi la morte, ne l'aula piu` secreta co' suoi conti,

Come anima gentil, che non fa scusa, ma fa sua voglia de la voglia altrui tosto che e` per segno fuor dischiusa; cosi`, poi che da essa preso fui, la bella donna mossesi, e a Stazio donnescamente disse: <<Vien con lui>>. S'io avessi, lettor, piu` lungo spazio da scrivere, i' pur cantere' in parte lo dolce ber che mai non m'avria sazio;

Il sapone col quale si lava la biancheria, vien detto sapone di Marsiglia, perchè è appunto in questa citt

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