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Aggiornato: 1 giugno 2025
CINTIA. Mi vergognava tanto che ancor la memoria se ne vergogna, anzi mi vergogno ora in palesarti quello che tutte le donne devrebbono nascondere. ... Passò la notte piú tosto che avremmo voluto, anzi volò fra quei dolci contenti, e l'aurora ci svelse l'un dal braccio dell'altro con egual cordoglio ma con disegual animo.
ST. Fatto per la maggior parte di sangue di bambini. AP. Che ti ungevi tu? ST. Eh! mi vergogno a dirlo. AP. O meretrice sfacciatissima de' demonj! si vergogna a dire quello che non si vergogna a fare. ST. Parvi maraviglia? AP. Manda fuora il veleno: che ungevi tu? ST. Le parti che io uso per sedere.
Mi vergogno di me stesso, ardo d'ira e di sdegno, ma suspico che trama d'amore ne sia cagione. Ma ecco mi sovragionge quest'altra seccaggine del capitano. Non so che voglia questa bestia da me; fuggirò per quella strada. TRASIMACO. Fermatevi, gentiluomo, nella cui figlia è fondato il trionfo della illustre mia generazione. PARDO. Ho da far altro, perdonatemi.
Vedete un po' che disdetta! Proprio in quel momento; proprio la prima volta che gli era dato di vedere la marchesa a piedi per le vie di Torino! E per chi, poi, quella noia? Per chi, quel duello imbastito? Per una femminuccia, pigliata in mal punto a proteggere. Ariberti si vergognò della sua debolezza; l
Vorrei io esser lui, ché conoscendo quella bellezza che in voi singular si scuopre, i divini costumi e l'onestá, sí ricco tesoro di grazie, mi terrei felicissimo; quando una sol volta fussi mirato da voi, saresti osservata e riverita da me, qual si conviene al vostro merito. CLERIA. Mi vergogno non essere come tu dici, solamente per piacergli.
«Sono uno sciocco, disse allora, mi vergogno di me stesso; piangevo perchè ho paura di presentarmi agli esami; un superbiaccio pari mio meritava questa umiliazione; a te lo posso dire: il Veloce-Club, e le cavalcate, ed altro mi hanno fatto trascurar la scuola di meccanica e di costruzioni, gioco una brutta carta...
LECCARDO. So che sei d'una naturaccia larga e liberale, che ciò che ti è cercato in presto tu doni. CHIARETTA. Su, di' presto, che vuoi? LECCARDO. Che mi presti la.... CHIARETTA. La che? LECCARDO. La..., mi vergogno di dire. CHIARETTA. Se ti vergogni dirmelo di giorno e in piazza, dimmelo all'oscuro in casa. LECCARDO. Vorrei che mi prestassi la gonna di Carizia.
Io mi vergogno quando mi passa accanto un bel moro vestito in gala. Paragono il mio cappelluccio al suo enorme turbante di mussolina, la mia misera giacchetta al suo lungo caffettano color di gelsomino o di rosa, l'angustia, insomma, del mio vestiario grigio e nero, all'ampiezza, al candore, alla dignit
Della quale cacciato, come mostrato è, non da' ghibellini ma da' guelfi, e veggendo sé non potere ritornare, in tanto mutò l'animo, che niuno piú fiero ghibellino e a' guelfi avversario fu come lui; e quello di che io piú mi vergogno in servigio della sua memoria è che publichissima cosa è in Romagna, lui ogni femminella, ogni piccol fanciullo ragionante di parte e dannante la ghibellina, l'avrebbe a tanta insania mosso, che a gittare le pietre l'avrebbe condotto, non avendo taciuto.
Se io pronunciassi davanti a voi, così buona e così santa, una parola di rancore, non sarei degno di voi. Mi vergogno di non aver saputo trovare da me la ragione che ha ispirata e sostenuto il vostro sacrificio e di aver guardato più al mio che al vostro dolore. Aiutatemi a esser buono: devo dimenticare chi mi ha fatto un così grave male. Io credevo gi
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