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Aggiornato: 19 giugno 2025


Qual, s'a leon devorator d'armenti, Che pur dianzi scannò su prati erbosi, Giunge tratto a l'odor de i tori spenti Affamato leon da gli antri ascosi, Scagliansi incontra con la spuma a i denti, Frementi, ardenti, di sbranar bramosi, E con attorte code aspro veneno Svegliansi d'ira nel terribil seno;

Quale in campagna cacciator, che infesta Per belle corna capriol ramoso, Pieno di disconforto i passi arresta Se d'occhio il perde infra le selve ascoso; Cotal sen riede a la gentil foresta Sul caso occorso il Cavalier pensoso; Ma rigonfiata d'infernal veneno Dicea Megera nel terribil seno: XXII

Chesta è la casa de Coviello Cicula, appriesso la casa de Cola Pertola, la terza è d'Aniello Suvaro, la quarta è de Colambruoso e Iacovo dello Caso, appriesso veneno chelle caranfole e carafuorchi, appriesso stava la casa mia: ma chesta me pare taberna. CAPPIO. Bone compánie, volere fare brindese.

Pera quel giorno, ch'a venir quì presi; E se pure a tal fin la reggia altiera Trasportarmi dovea, quando v'ascesi Per altrui don, pera quel giorno, pera; Così porto terror? questi paesi Domo così? così pugno guerriera? Oh bel trofeo, che vana, e che lasciva Oggi m'innalzo in su la patria riva! Deh che pregai? deh che rivolsi in mente? Che mi cosparse di veneno il petto?

Per Ottoman scioglie ai lamenti il freno Sultana, e beve poi letal veneno. Così la vince il gran martir; ma volse A lo scampo de' suoi Bostange il core Sul risco estremo, ed i guerrieri accolse Che nel campo godean grado d'onore; Guardogli alquanto; indi la lingua sciolse, Nel profondo del cor chiuse il dolore, Ed a' mesti baron chiedea consiglio Con salda voce nel sovran periglio: II

59 Quale il canuto Egeo rimase, quando si fu alla mensa scelerata accorto, che quello era il suo figlio, al quale, instando l'iniqua moglie, avea il veneno porto; e poco più che fosse ito indugiando di conoscer la spada, l'avria morto: tal fu Marfisa, quando il cavalliero ch'odiato avea, conobbe esser Ruggiero.

No, ché io non posso volere colpa di peccato, ché in me non è questo veneno: anco mi dispiacque tanto ne l'uomo, che Io non volsi che passasse senza punizione, ché, non essendo l'uomo sufficiente a portare la pena che gli seguitava doppo la colpa, mandai el Verbo de l'unigenito mio Figliuolo. Egli con l'obbedienzia la fabricò sopra el Corpo suo.

42 Ma quella gentil maga, che più cura n'avea ch'egli medesmo di se stesso, pensò di trarlo per via alpestre e dura alla vera virtù, mal grado d'esso: come eccellente medico, che cura con ferro e fuoco e con veneno spesso, che se ben molto da principio offende, poi giova al fine, e grazia se gli rende.

Tu di', ch'io pianga, e che l'angoscia io versi, Ch'io mi strugga dolente al suo cospetto; Oh non del mio dolor tutto il cospersi? Non mi vide egli a se morir sul petto? Omai preveggo i Rodian perversi De le miserie mie farsi diletto; Certo è così, ma schernirogli almeno O con coltello, o con mortal veneno.

A chiamolla, e le disse all'orecchia, che non poté udire uomo di casa: Un subitano tosco m'apparecchia, qual so che sai comporre, e me lo invasa; c'ho trovato la via di vita torre il traditor figliuol di Marganorre. 67 E me so come, e te salvar non meno: ma diferisco a dirtelo più ad agio. Andò la vecchia, e apparecchiò il veneno, ed acconciollo, e ritornò al palagio.

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