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Aggiornato: 29 maggio 2025
Non sa nulla! pensò Tuccio di Credi, udendo le parole di messer Dardano. E ad alta voce proseguì: Messere, da quando non avete più visto Spinello?
Quell'altro obbedì prontamente. Ecco Tuccio di Credi; incominciò l'Acciaiuoli, volgendosi al suo ospite. Spinello si scosse a quelle parole, alzò gli occhi e salutò il suo compagno d'arte. Buona sera, Tuccio! diss'egli stendendogli la mano.
Tuccio di Credi aveva portati in pace, o giù di li, gli inviti del Casentino; aveva mandati giù, senza troppo dolersi, gl'inviti di Firenze; aveva rizzato muso agl'inviti di Pisa, ma non si era arrischiato a dir nulla. Ma non portò in pace, non mandò giù, non lasciò correre senza proteste, gl'inviti di Pistoia. O perchè? Aspettate, lettori umanesimi, e vedremo di sapere anche questo.
Io veramente non saprei dirvi quale del due avesse maggior bisogno di essere sorretto dall'altro. Tuccio di Credi presentò alla sposa un mazzolino di fiori. Li ha colti l'amicizia; diss'egli inchinandosi. Rammentando questo bel giorno, madonna, non dimenticate il fedel servitore della vostra casa.
Vedete che sciocco son io! gridò mastro Jacopo, interrompendo la cicalata del suo discepolo. Non credo alle alchimie di Tuccio e di Parri, e le tiro in ballo, io, per appiccicare a Spinello la malattia de' suoi compagni. I quali, in fede mia, non sanno nulla di nulla e parlano a vanvera da quei gaglioffi che sono. Perchè, vedi, ragazzo mio, l'arte si guaster
La casa di mastro Jacopo era di persona agiata, ma non ricca. Del resto, a quei tempi, anche i popolani grassi vivevano semplicemente. Al servigi della famiglia di mastro Jacopo non c'era che una vecchia fante, la quale bastava a tutto, e a governare la casa e ad accompagnare madonna Fiordalisa, quando esciva per andare agli uffizi divini. Essa per altro non sarebbe bastata ai bisogni di quella circostanza solenne, e fu mestieri provvedersi di quattro o cinque mezzi servizi per quel giorno di grandi faccende domestiche. Parri della Quercia e Tuccio di Credi, volonterosi aiutanti, si fecero in quattro, per servire il maestro in quelle ricerche e in tutto l'altro che gli fosse bisognevole. Nella necessit
Nella camera vicina, Tuccio di Credi e Parri della Quercia si guardavano in viso, crollavano la testa e sospiravano, come uomini percossi da una medesima sventura. Quella sera il curato del Duomo mandò il sagrestano alla casa di messer Jacopo, per chiedere a che ora del mattino gli facesse comodo di andare in chiesa per la cerimonia nuziale.
Avete parlato con Tuccio? gli chiese, fissandolo in volto. Mio Dio, sì; rispose Parri, che non sapeva mentire. Che noia! gridò Spinello, sbuffando. Tuccio vi ama; osservò placidamente quell'altro. Lo so, e m'è uggioso questo amore, che vuole ad ogni costo impicciarsi nei fatti miei. Mi lascino alle mie tristezze. Parri, io ci ho i morti nell'anima; come volete che pensi alle creature vive?
O su quanti vorresti piantarlo? domandò il Chiacchiera, che non rinunciava mai all'occasione di metter fuori una celia. Dico che me ne vado, urlò il Granacci, posso allogarmi a Firenze dal Giottino, o a Siena dal Berna, che tutt'e due mi vogliono. Per che fare? Quello che tu non farai, Tuccio, se pure tu campassi mill'anni: ribattè il Granacci.
Sì, troppo bello; balbettò Tuccio di Credi, facendosi livido dalla paura. Che è? disse allora messer Dardano, a cui non era sfuggito il tremito della voce di Tuccio. Che cosa avete voi? soggiunse tosto, vedendo il suo compagno con la cera stravolta. Io nulla, messere; rispose Tuccio, confuso. Notavo una rassomiglianza.... Non è quello il volto di madonna Fiordalisa?
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