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Aggiornato: 9 ottobre 2025
Tu ammazzi la mia gente, dannata almea? Sì, e se potessi farei a brani anche te! gridò Fathma. Vattene di qua, vigliacca, vattene via traditora, maledetta, assassina. Nagarch, legala al tronco di quel tamarindo. Il dongolese afferrò fra le sue robuste braccia l'almea che esausta di forze non era più capace di opporre resistenza e la legò al tamarindo con forti corregge di pelle.
Frattanto un involto di piccola mole era caduto dall’alto del verone a’ piedi di Fiordaliso, e cinque dita raccolte alle labbra della divina ascoltatrice dei suoi versi gli mandavano un bacio. Il cantore era rimasto estatico a raccogliere il bacio; donde avvenne che non si chinasse subito a raccogliere il messaggio, e quando, sparita la dama dal verone, si volse per farlo, una mano traditora gi
ERASTO. Se non poni mano alla spada, te la darò in testa con tutto il fodero. CAPITANO. Ahi, fortuna traditora, perché non ho meco la «gastigamatti» o lo spadone a due mani? ché lo farei pentir del tanto ardire: e giá mi brillano le mani. Ma perché vuoi far tu meco questioni? ERASTO. Accioché non passi piú per questa strada. CAPITANO. La strada è mia e ci posso passar quanto voglio.
ARMELLINA. Non vo' andare in camera con i padroni; io ci andarei con il vignarolo, sí bene da solo a solo. VIGNAROLO. O fortuna traditora, o astrologo traditore, o padrone assassino, che mi avete fatto trasformare in un'altra persona; ché ora vorrei esser quel di prima e non ci posso essere!
FORCA. E di che cosa? PANFAGO. Crepo della traditora fame. FORCA. Dio ti ci mantegna. PIRINO. Panfago, abbiamo bisogno di te; e se ci aiuti, te ne aremo obligo. PANFAGO. Per acquistarmi la vostra grazia andrei nel fuoco. PIRINO. Se, non avendomi mai fatto servigio, la casa mia t'è stata sempre aperta, pensa che sará se ricevo da te cosí segnalato servigio.
Ginevra adunque, quell'anima chiusa, commetteva i suoi pensieri alla carta traditora? Sì veramente, questo era il punto debole di una armatura per tanti rispetti fortissima. Fin dai primi giorni del suo matrimonio, la bella vittima delle consuetudini aristocratiche e delle arti gesuitiche collegate, aveva per costume di svelare, di raccontar sè medesima alla compagna d'infanzia.
La portinaia, suor Maria Modesta, correva al bucherello in gran travaglio, ch'una seconda scossa sí villana potea gittare in pezzi la campana. Vide Marfisa, e presto apre la porta, ché avea precetto della superiora; poi chiude l'uscio e le fa innanzi scorta, e la conduce come traditora.
PIRINO. Queste tue medicine son troppo violenti per lo pericolo della vita, troppo nauseabonde per l'infamia e troppo amare per l'anima: e se ben la polvere del delitto mi accieca l'occhio della ragione, pur non son tanto cieco che non conoschi l'errore. FORCA. Perdo il tempo, mi vo' partire. PIRINO. Aspetta, férmati un poco. Ahi, traditora fortuna, a che mi conduci?
EROTICO. E con chi? BALIA. Con Attilio. EROTICO. Ahi, fortuna traditora, e che potevi tu farmi peggio? BALIA. Vi ha fatto peggio: che Orgio suo zio vuol che per questa sera si faccino le nozze, ché la brevitá del tempo ne priva di consigli e di rimedi. EROTICO. Mi volevi dar una cattiva nuova, e or me ne dái due. BALIA. Fortuna non comincia per una né per due. EROTICO. Ecci forse altro?
ALESSANDRO. Ditemi se di giá avete comprato lo schiavo e dove sia. FILIGENIO. L'avea comprato giá e ridotto a casa; poi, venuto il dottore, mi disse ch'era la bagascia di mio figlio, tinta la faccia di carboni, vestita da maschio; l'ho cacciata di casa e lasciatala a lui. ALESSANDRO. O Dio, che cosa mi dite? O fortuna traditora, a che son condotto! io son il piú disperato uomo del mondo!
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