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Aggiornato: 14 maggio 2025
Non hai più nulla da fare, nel mondo; vattene via, nella fossa comune, ivi non sono creditori, nè appariscono più i divini e dannati occhi azzurri che furono la causa della tua morte. Lampeggiarono, gli azzurri occhi, a queste ultime parole. Julian Sorel li guardava e ne beveva il veleno di morte, Julian Sorel udiva la chiara e ferale voce e ne sentiva, al cuore, le mortali, le lugubri vibrazioni.
Venga, dunque, a vedermi morire, egli pensò. Ma a Ponte Molle incontrarono tre carretti di pozzolana che venivano lentamente verso Roma, al fischio malinconico dei burberi carrettieri: e verso Tor di Quinto parve a Julian Sorel che il paesaggio fosse troppo largo, troppo aperto per uccidersi, buttandosi nel fiume.
Sono due mesi che ho deciso di uccidermi, quando non vi fosse più rimedio, egli disse, fiocamente. Hai aspettato troppo: va, va a buttarti nel Tevere, diss'ella, guardandolo, ipnotizzandolo, dandogli la suggestione dell'amore, del dolore, del terrore. Vado, disse Julian Sorel e si levò. Ma non fece un passo. Ella lo guardò ancora, per vincerlo intieramente nella sua infinita debolezza.
E si avviò, di nuovo, verso Ponte Molle, reprimendo tutte le lagrime di una ignota tristezza che gli salivano agli occhi, reprimendo l'acutezza di un misterioso rimpianto. Il cane lo seguiva, passo passo: e Julian Sorel lo udiva, dietro a sè, camminare fedelmente, sudicio fino alla nausea, brutto fino al disgusto, mezzo morto dalla fame e dalla fatica, ma deciso a seguirlo, fin dove voleva andare l'uomo che andava alla morte. In preda a un invincibile turbamento, fra una bizzarra novella disperazione e fra un bizzarro disfacimento di tutta la sua volont
Il roseo della sua candidissima pelle era più veramente roseo di qualunque rosa. Dunque? domandò, di nuovo, a Julian Sorel. Costui non osò ancora rispondere, e la guardò con gli occhi preganti. Gwendaline crollò un poco la testa biondissima e si mise a giuocare coi suoi fulgidi anelli, che le coprivano le dita sino alla prima falange, sino all'indice, come a un idolo di Egitto.
Passa via, e gli diede un calcio. Il povero cane prese il calcio in una spalla e guaì dolorosamente: ma sempre guardando Julian Sorel, lo seguì ancora. Quello si fermò, turbato assai. Perchè lo seguiva, quel cane, così ostinatamente, anche dopo essere stato battuto? Perchè lo guardava con quegli occhi che parevano umani, tanto esprimevano la piet
Ed allora, quasi che quello sconosciuto animale fosse un uomo, quasi che egli potesse intendere, tutto, Julian Sorel, nella via deserta e fangosa, sotto i grandi alberi neri e nudi, innanzi a vasto e giallo fiume, gli gridò, desolatamente: Io debbo morire, io debbo morire, ho duecentosettantamila lire di debiti e non posso pagare, debbo morire, lasciami morire....
La bestia levò il capo e guardò, con quegli occhi di animale caritatevole, povero e dolente. Tutta l'anima di Julian Sorel tremò, di sgomento, di stupore. Ma chi, chi lo guardava, in quel tenero sguardo animalesco, quale novella ossessione di piet
Egli saliva, lentamente, per via Nazionale, movendo i passi con fatica: e sul bel volto pallido, consumato, disfatto, vi era l'espressione di una mortale stanchezza. Andava con gli occhi bassi e le mani prosciolte lungo la persona, urtato, sospinto dalla gente che camminava in fretta ed egli pareva che nulla vedesse, nulla sentisse: solo, ogni tanto, squillava, passando, la cornetta del tram che ascende da piazza Venezia a Termini, e Julian Sorel sussultava a quel suono acuto, si voltava, si fermava e fissava coi suoi occhi smorti e dolorosamente stanchi il carrozzone, che traballava sulle ruotaie con un sordo fragore. Poi, Julian Sorel riprendeva la sua strada, sempre più lentamente, fermandosi a guardare le vetrine delle botteghe, i cui cristalli erano appannati dalla pesante umidit
Non vi erano più case, sulla via Flaminia: forse era sbucato, inopinatamente, dalla viottola dell'Arco Scuro che porta alla piana dell'acqua Acetosa. Gli veniva dietro, forse, da qualche tempo: e guardava Julian Sorel, coi suoi buoni e dolci occhi di cane. Passa via, gli disse costui sgarbatamente. Il lurido cane si fermò un minuto: poi, ricominciò a seguire Julian Sorel.
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