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Aggiornato: 14 giugno 2025
La povera bestia, sordida e laida, guardava Julian Sorel, cogli occhi spiranti piet
Gwendaline, se mi vuoi bene, taci, taci.... Io non ti voglio bene, ella proclamò, ma quietamente. Se me ne hai voluto, taci, non mi uccidere tu.... Io non ti ho mai voluto bene, ella insistette a negare, serrando fieramente le belle labbra rosse e fresche. Julian Sorel la guardò, con tale una novella disperazione negli occhi che la superba donna sorrise di orgoglio.
Ma il cane era dietro a lui, lambendogli le gambe, ma il cane avrebbe latrato vedendolo cadere nel fiume, ma il cane si sarebbe forse buttato nel fiume per salvarlo, ma il cane non voleva che egli morisse, ecco l'idea terribile sorta nello sconvolto cervello di Julian Sorel.
A che cifra ascendono i tuoi debiti? ella domandò, a un tratto, con la voce fredda e limpida. Julian Sorel alzò la testa e guardò Gwendaline, trasognato: quasi non avesse udito, o non avesse inteso. A che cifra ascendono i tuoi, debiti? ella replicò, dominandolo coi suoi azzurri occhi glaciali. Non lo so.... non so.... non me ne parlare, egli pregò fremendo, passandosi una mano sulla fronte.
A un tratto, sentì un urto contro una gamba: si voltò. Gli veniva dietro un cane e lo guardava. Era un bruttissimo, sporchissimo e magro cane, che pareva avesse addosso dieci giorni di vagabondaggio e di fame, pel fango della campagna; un cane che faceva schifo. Donde era sbucato? Julian Sorel non avrebbe potuto dirlo.
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