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Aggiornato: 24 giugno 2025


Avevo una chiave del mio studio, dove potevo entrare per una porta attigua a quella dell'alloggio. Mi rifugiai nel mio studio senza entrare in casa. A quell'ora i commessi erano a colazione. Sedetti allo scrittoio su cui erano disposte in ordine di data le lettere venute durante la mia assenza. Tra quelle soprascritte non ne vidi che una. Una trammezzo a tutte, che era giunta tre giorni innanzi.

Mi sedetti sulla poltrona a cui ella era appoggiata, e tenendo tutt'e due le mani di Lidia, attrassi la fanciulla sulle mie ginocchia. Vediamo, dissi, posandole le labbra sulle labbra caldissime ed immobili. Io son desolato d'essere costretto a disturbarti; ma non prevedevo di trovarti ancora alzata. Volevo semplicemente augurarti la buona notte.

Vedi, non ti lascio; resto con te. Sedetti, aspettai. Lo stato del mio animo era una sospensione angosciosa nell'attesa di un evento prossimo. Io ero sicuro che qualcuno sarebbe venuto a chiamarmi. Tendevo l'orecchio a qualunque lieve strepito. Udivo di tanto in tanto sonare nella casa i campanelli. Udii il rumore sordo d'una vettura su la neve. Dissi: Forse è il medico. Giuliana non fiatò.

Sedetti accanto al letto. La mano che premeva la mia sulle coltri era calda: mi pareva febbricitante. Egli era rimasto addossato a' cuscini, col bianco e largo petto scoverto. Ricopritevi dissi E non vi rigirate per guardarmi. V'ascolto lo stesso.

«Non potei occuparmi di nulla. Per me aspettare è sempre stata una così grande e laboriosa occupazione, che non mi fu mai possibile di far qualche altra cosa mentre aspetto una persona o un avvenimento importante. Sedetti sulla punta d'una sedia, nell'atto precario di chi sta per slanciarsi incontro a qualcheduno, ed aspettai. Non potevo nemmeno pensar nulla. Sul camino stava un orologiaccio di bronzo dorato, tutto giallo e lucido che pungeva gli occhi; ed io seguivo affannosamente il battito del suo pendolo col pensiero, ripetendo senza posa «verr

Ho dormito inquieto, agitato, con sogni paurosi; m'alzai al mattino colla testa pesante, e le idee confuse. Apersi la finestra quando le imposte del palazzo Brisnago erano ancora chiuse, e mi sedetti davanti al tavolino per prendere varie note intorno ai miei affari.

Misurava la camera a passi ineguali: era vivamente preoccupato e pareva assai inquieto del colloquio che in quel mentre seguiva nel salotto. Sempre fisso nell'idea ch'egli fosse la causa prima di tutto il malanno, io attribuivo la sua agitazione al rimorso. Sedetti accanto al camino e tacqui. La nostra attesa non fu lunga,

Me le sedetti vicino, presso il fuoco, ed ella, con quella voce sempre più diversa del solito, mi bisbigliò nell'orecchio, mettendomi un braccio intorno al collo: Ho paura del sindaco! Io, che non mi ero accorto dubitava di nulla, Del sindaco, esclamai strabiliato; oh! che cosa ti gira per il capo, stasera?

Vittoria avrebbe dovuto essermi riconoscente di quel sacrifizio fatto al suo decoro. La giovane mi guardò un momento con meraviglia, quasi aspettando che mi congedassi. Io sedetti accanto alla sua tavola, e mi posi a sfogliare un albo. Ella allora mi offerse un sigaro, e si pose a sedere dall'altro lato del tavolino.

Giuliana giaceva nella medesima attitudine. Dormiva? Soltanto la fronte, fino ai sopraccigli, era scoperta. Mi sedetti, presso al capezzale; ed aspettai. Guardavo quella fronte pallida come il lenzuolo, tenue e pura come una particela, sororale, che tante volte le mie labbra avevano baciata religiosamente, che tante volte avevano baciata le labbra di mia madre.

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