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Aggiornato: 4 giugno 2025
Che sí, che sí, ch'io sarò indivino! LELIA. Addio. ISABELLA. Udite: vi volete partire? SCATIZZA. Basciala, che ti venga il cancaro! CRIVELLO. L'ha paura di non esser veduta. LELIA. Orsú! Tornatevi in casa. ISABELLA. Voglio una grazia da voi. LELIA. Quale? ISABELLA. Entrate un poco dentro a l'uscio. SCATIZZA. La cosa è fatta. ISABELLA. Oh! Voi sète salvatico! LELIA. Noi sarem veduti.
Veggio che costei è giá venuta al bacio; e verrá, la prima volta, piú avanti; e trovarommi aver perduta ogni cosa: tal che forza è ch'e' si scuopra la ragia. Voglio andare a trovar Clemenzia di quanto gli par ch'io faccia. Ma ecco Flamminio. CRIVELLO. Scatizza, il padrone mi disse aspettarmi al banco de' Porrini. Vo' dargli questa buona nuova.
SPELA. Voglio intender questa novella. SCATIZZA. Com'io bussai alla ruota, subito tutta la stanza s'empí di suore; e tutte giovane e tutte belle come angeli. Comincio a domandar di Lelia. Chi ride di qua, chi sghignazza di lá; tutte si facevan beffe del fatto mio, come se io fusse stato un zugo melato. SPELA. Addio, Scatizza. E donde si viene? Oh! Tu hai delli zuccarini. Dammene.
Tanto che pur m'accorsi che m'uccellavano, ché non volevano ch'io le parlasse. SPELA. Tu fosti un da poco. Dovevi entrar dentro e dir che la volevi cercar tu. SCATIZZA. Cancaro! Entra dentro solo! Va' lá, va' lá: tu mi conciaresti! Oh! Non c'è stallone in Maremma che ci regesse col fatto loro, solo. Monache? Cancaro! Ma io non posso star piú con te; ché ho da rispondere al mio padrone.
E magiormente, or che gli è entrato in questa frenesia d'amore, egli si spela, si pettina, passeggia intorno alla dama, va fuor la notte a' veglini con la squarcina, canticchia tutto 'l dí con una voce rantacosa, ribalda e con un leutaccio piú scordato di lui. Or vuol portare il zibetto. Al corpo di Dio, che c'impazzerebben le palle. Ma ecco Scatizza che debbe tornar da le monache.
ISABELLA. Mirate se v'è niuno. LELIA. Non ve l'ho detto? Non si vede persona. ISABELLA. Oh! Io vorrei che voi tornasse dopo disinare quando mio padre sará fuora. LELIA. Lo farò; ma, come passa il mio padron di qui, di grazia, fuggite e serrategli la finestra in fronte. ISABELLA. S'io non lo fo, non mi vogliate piú bene. SCATIZZA. Dove diavol gli tien la man, colei? CRIVELLO. Oh povero padrone!
CRIVELLO. Che non è da fidargli cosí sempre la robba. Sí, ché gli è forestiero e potrebbe, un dí, caricarvela. FLAMMINIO. Cosí fidati fusse voi altri! Domanda un poco lo Scatizza, che è lá, se l'avesse veduto. E io sarò al banco de' Porrini. CRIVELLO. Scatizza, addio. Ha' tu veduto Fabio? SCATIZZA. Chi? quella vostra buona robba? Oh cagnaccio! Tu ti dái il bel tempo. CRIVELLO. Ove andavi?
SCATIZZA. A trovare il mio grimo. CRIVELLO. Gli è passato di qui or ora. SCATIZZA. Dove è andato? CRIVELLO. In qua sú. Viene, ché 'l trovaremo. Eh viene! ché t'ho da contare una facezia, che m'è intervenuta con la mia Caterina, la piú bella del mondo. SPELA servo di Gherardo, solo. Può esser peggio al mondo che servire a un padron pazzo? Gherardo mi manda a comprare il zibetto.
SCATIZZA. Ti so dir che questi padri che fan le lor figliuole monache debbono esser di que' buoni uomini del tempo antico di Bartolommeo Coglioni. E forse che non si credono ch'elle stien sempre dinanzi al Crocefisso a pregare Iddio che facci del bene a chi ve l'ha messe? È ben vero che pregano Dio e 'l diavolo; ma che gli faccia rompare il collo a chi è cagion ch'elle ci sieno.
A ingannare il mio signore, che non sta però bene. ISABELLA. Il malan che Dio gli dia! CRIVELLO. Vatti po' fida di bagasce! Ben gli sta. Non è maraveglia che 'l fegatello confortava il padrone a lasciar questo amore. SCATIZZA. Ogni gallina ruspa a sé. In fine, tutte le donne son fatte a un modo. LELIA. L'ora è giá tarda ed io ho da trovare il padrone. Rimanete in pace. ISABELLA. Udite.
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