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Aggiornato: 4 giugno 2025
Fulvio con lui ne la stagion sì rea S'aggiunse pronto nei perigli illustri, Nobile cavalier, ch'allor correa Lo spazio giovenil di sette lustri; Leggier sul piè, forte di man spargea Di rose ambe le guancie e di ligustri, E di lucido pel, vago ornamento, Quasi di nube d'or, fasciava il mento.
Vero è però che nel volto dimostrava il contrario, e diverso dalla sua natura sorrideva spesso, e qualsivoglia capitano o soldato contemplasse sgomento, lo chiamava per nome, e sì gli diceva: «Fa core, che abbiamo superato il ponte, e con l'aiuto di San Martino supereremo anche il muro; buono studio vince rea fortuna.» In questa guisa dava animo altrui quanto più il suo era presso a disperare.
Tal minacciava; e da la fronte oscura Per gli occhi fiamma sfavillava intorno, Gelidi i capitan d'alta paura A le tende ciascun fa suo ritorno; Quivi, presaga di più rea ventura, La vinta plebe al trapassato giorno Volgea la mente, e tra' più rei martiri Bestemmia d'Ottoman gli empi desiri.
34 E poi che dilungati dal palagio gli ebbe sì, che temer più non dovea che contra lor l'incantator malvagio potesse oprar la sua fallacia rea; l'annel che le schivò più d'un disagio, tra le rosate labra si chiudea: donde lor sparve subito dagli occhi, e gli lasciò come insensati e sciocchi.
In sè stessa voleva pure riagire contro quello spavento che pareva quello d'una rea cui vincesse il rimorso, mentre, fuorchè d'un affetto purissimo fin dalla prima giovinezza entratole in cuore, ella di nulla poteva accagionarsi; ma pure invano cercava sollevar l'animo a un po' di coraggio: sentiva sempre più venirle meno ogni forza.
Bollente plebe affrontar, savio non è. Se giusta morte puoi darle, or perché vuoi che appaja vittima sol di tua assoluta voglia? De' suoi veri delitti in luce trarre il maggior, non fia 'l meglio? e rea chiarirla, qual ella è pur, mentre innocente tiensi? NER. Delitti... altri... maggiori?...
Non so come io mi tenga che io non ti tragga la vita del corpo. Ma prima voglio uccidere, a' tua occhi veggenti, colui che tu hai in camera, ribalda! E poi, con le mie mani, a te cavar gli occhi della testa. FULVIA. Oimè, marito mio! Mò che cosa è quella che te muove a fare me rea femina, che non sono, e te crudele omo, ove fin qui non fusti mai? CALANDRO. Oh svergognata!
TIGEL. L'infamia è di chi 'l fece. NER. È ver... TIGEL. Sua taccia abbia ognun dunque: ella di rea; di giusto tu, che senza tuo danno esserlo puoi. NER. Ben parli. In ciò, senza indugiar, ti adopra. SENECA Signor, giá il piè nella regal tua soglia pone Ottavia: se infausta, o lieta nuova io ti rechi, non so. Me non precorre invido niun di tale onore: a tristo augurio il tengo.
TIGEL. Impone a te Nerone, o di scolparti a un tempo dei sozzi amori, e de' sommossi duci, e degli audaci motti, e delle tante tese a Poppea, ma invano, insidie vili, e del tumulto popolare; o vuole, che rea ti accusi: a ciò ti dona intero questo venturo dí. OTTAV. ... Troppo ei mi dona. Vanne, a lui torna: e pregalo, ch'ei venga quí con Poppea.
Volgiti addietro, e ti rammenta il giorno, Che Lidia in guerra soggiogata ardea, Allor ch'a' vinti si girava intorno Tra sangue e foco ogni miseria rea, Io per tor la mia vita a scempio, a scorno Quel giorno a morte volentier correa, Stringea la spada, e gi
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