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Aggiornato: 19 giugno 2025
Bruciamo le gondole, poltrone a dondolo per cretini, e innalziamo fino al cielo l'imponente geometria dei ponti metallici e degli opifici chiomati di fumo, per abolire le curve cascanti delle vecchie architetture. Venga finalmente il regno della divina Luce Elettrica, a liberare Venezia dal suo venale chiaro di luna da camera ammobigliata.
Lo studio, dalla tettoia vetrata, era illuminato di luce diurna; non troppo ampio, d'esatte dimensioni, con due finestre prospicienti la strada; a fianco dell'una stavan la scrivania e le poltrone di pelle a borchie d'ottone, e innanzi all'altra una giardiniera con alcuni vasi di fiori dai freschi sbocci. La parete cui s'appoggiava la poltrona della scrivania era coperta fino a met
Nel salone, sulle poltrone, sui divani, sulle sedie, come in una esposizione, così io potrò veder tutto. Ci vorr
Sì. rispose, girando la testa a guardarla. Lavoro un poco. Gioconda avanzò di qualche passo. Lavorerai anche stasera? seguitò. Se fosse possibile.... Allora bisogna avvertire che le poltrone allo Châtelet sono libere, disse Gioconda. Folco si alzò, avvicinandosi a sua moglie. Aveva sentito nelle sue parole un malcontento, una freddezza, che gli riuscivano dolorosamente nuove.
Michele le tenne dietro, ma si fermò a sedere due poltrone distante da lei. Lavinia lo fissò, poi: Temporale, quest'oggi esclamò con aria di amabile canzonatura. Tutt'altro, bonaccia completa rispose Michele senza guardarla. Sar
CURZIO. Tu sai che avemo inteso che quel pedante poltrone, ogni notte, gli viene a cantare a l'uscio non so che canzoni. Vorrei che tu gli rompessi el capo in qualche bel modo, che non si accorgessi chi fussi stato, se pur ci viene stanotte. RUFINO. State de bona voglia, che vi prometto di servirve. CURZIO. Va'! Pichia, adunque. RUFINO. Io so certo che costoro ci deveno aspettare. Tic.
IULIA. Chi? MALFATTO. Minio, quello vostro. IULIA. El malanno che ti venga! Io dico el maestro tuo. MALFATTO. Dico ben cosí io ancora. Ma diteme un poco, o madonna: perché non me date moglie? IULIA. E che ne vòi far della moglie, bestia? MALFATTO. La voglio abracciare nello letto, cosí, vedete. IULIA. Fatti in lá, poltrone! se non hai voglia ch'io ti dia d'una pianella inel mostaccio.
Alla faccia tua e del compagno ancora. RUFINO. Oh poltrone, tristo, sciagurato! Vien qua giú! vien giú! MALFATTO. Vien sú! vien sú, tu! RUFINO. Apri la porta e vederai se io ci verrò. MALFATTO. Son contento. Ma dimmi: hai naso freddo tu? RUFINO. Diavolo ch'io trovi un sasso, stanotte! REPETITORE. Eh! non fate, omo da bene.
Le panche della scuola! Chi di noi non se ne rammenta? Chi su quei disadorni sedili non si è, alla fin dei conti, trovato meglio che nelle poltrone a molle ove sdraiammo più tardi la svigorita persona? Senza dubbio le nostre tribolazioni le abbiamo avute anche lì. Quando, interrogati dal professore, non abbiamo saputo rispondere verbo, ed egli, con un sorriso glaciale, ci accennò di sedere e intanto con volutt
CECA. Che sí che ti trarò d'un sasso nel capo! MALFATTO. Voglio bussar per dispetto tuo, adesso. Tic. CECA. Non l'odi, poltrone, no? MALFATTO. Sí, sí. Tic. So ch'io voglio bussare. CECA. Tu non me credi, Malfatto, neh vero? MALFATTO. Che vòi? che hai? Oh Ceca mia bella! CECA. Che vòi? che adimandi? MALFATTO. Volevo stare con meco abracciato. CECA. Tira alle forche! Lèvate de lí, dico!
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