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Aggiornato: 19 giugno 2025
A la fede, che de' volere andare al prete Ianni, per intronato, in su quella galea che s'ha da armar di frati, artieri e pazzi. E debbe anco aver buona provigione, per portar la semente degli sciochi che a lor parrá gran cosa: ché la nostra nasce di qua, senza esser coltivata, ne le case, ne' muri e ne la rena, come fa la bacicchia. Toh poltrone!
Chi te lli ha dati? MALFATTO. Uno che m'ha ditto che voi site un poltrone e che lo fuoco ve possa abrusciare. PRUDENZIO. E chi è questo? MALFATTO. E che voi sèti un certo che fa alli scolari... PRUDENZIO. Taci, famulo, carnifice. MALFATTO. E dove è la carne? Ve sognate, neh vero? PRUDENZIO. Quid latras? MALFATTO. Misser no, che non son latro. Non li ho robbati, alla fé.
Vederai ch'io farò che, quando tu verrai meco, non te parterai dal latere nostro. Dimmi un po': chi te ha dato quelli quadranti? MALFATTO. Che quadranti? PRUDENZIO. Questi; questi nummi. MALFATTO. Son quatrini, son quatrini. Voi non ci vedete lume. Che me lli ha dati esso quello. PRUDENZIO. Quale? MALFATTO. Quello che dice che voi site un poltrone. PRUDENZIO. E cognoscelo tu?
Forse suo padre s'apponeva al vero rimproverandosi di averlo avvezzato troppo bene. Oh! d'ora in poi non avrebbe camminato sui soffici tappeti, non avrebbe potuto adagiarsi nelle poltrone a molle e fumare il sigaro contemplando gli stucchi del soffitto. Chi sa quale sarebbe stata la sua prima tappa nel viaggio faticoso?
TRASIMACO. Mira il furfante che, burlandosi di me, scherza con la morte. Fatti indietro, poltrone. GULONE. Ti sei fatto indietro tu, prima che lo dicessi. Tu sei come il gallo d'India: gonfia la gola, arrossisce la cresta, apre l'ali e le batte intorno, e sbuffa come si volesse far qualche gran cosa, poi si ritira. Férmati, schiuma de forfanti.
Io sono l'artista, l'essere numeroso e formicolante, la rissa pullulante, la sera di prima rappresentazione, la sala gremita in cui tutti i posti son presi: palchi, poltrone e loggione....
CECA. Madonna, oggidí non si può la persona fidar di nessuno; e i maestri propri son quegli che gli fanno viziosi e cattivi, che meritarebbono el fuoco, la maggior parte. IULIA. El poltrone l'ha mandato perché gli scusi ruffiano. CECA. E con chi? IULIA. Con la sorella, con Livia. Forsi che con meco? CECA. A pena el posso credere. IULIA. L'è pur cosí. Ma non si curi!... Basta.
Era il salotto pretenzioso ed ingenuo delle famiglie che ricevono poco, e, per conseguenza, non sanno ricevere. Un divano contro una parete, le poltrone in giro ed una tavola in mezzo su cui la vanit
Smorta al pari di un cadavere, colle guance rigate di lagrime, ella sciolse lentamente le sue mani da quelle di Alvise e senza parole si lasciò cadere in una delle ampie poltrone reclinando il capo affaticato.
RITA. Che non ci possi invecchiare! CECA. Oh Rita! Entrate. RITA. Non te curar, poltrone! CECA. Con chi l'avete? RITA. Con uno sciagurato ch'è a quella finestra. MALFATTO. Addio, Ceca mia. Vòi bene a io tu. RITA. Basta. Non te curar, gaglioffo tristo! CECA. Lassatelo dire, ché l'è una bestia. Venite qua. Ch'è della patrona vostra? RITA. Ne è bene. MALFATTO. Quando volemo fare quella cosa, Ceca?
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